samedi 31 décembre 2016

Sainte COLOMBE de SENS, vierge et martyre


Abbaye Sainte-Colombe de Saint-Denis-lès-Sens (Yonne, France)

Sainte Colombe

Vierge et martyre à Sens ( 274)

Une jeune fille espagnole venue dans la région de Sens en Bourgogne, qui mourut pour sa foi et dont la vie est toute résumée par ce don d'elle-même au Christ. Elle fut très honorée au Moyen Age à Paris. 

"Jeune fille originaire d’Espagne qui quitta son pays à cause des persécutions. Elle s’établit à Sens, où existait une forte et fervente communauté chrétienne à laquelle elle se joignit. Alors qu’elle était encore très jeune, elle résista courageusement aux autorités romaines qui voulaient la faire renoncer à sa foi, et subit le martyre à la sortie de Sens* (lieu dit: Fontaine d’Azon). Les chrétiens construisirent une église sur son tombeau et un monastère s’y établit.

Aujourd’hui un pèlerinage a lieu tous les ans au mois de juillet dans l’église qui se trouve sur son tombeau, à Saint-Denis-les-Sens. C’est là que se trouve sa statue." (source: diocèse de Sens-Auxerre)

"Née en Espagne de famille royale et de parents païens, Colombe consacre sa vie à Jésus Christ. Avec quelques fidèles, elle prend le chemin de la Gaule. Après avoir reçu le baptême à Vienne (en Dauphiné), elle se rend au pays de Sens où la religion est très florissante. Modèle de pureté et de courage, elle subit le martyre le 31 décembre 274, pour affirmer sa foi et conserver sa virginité. Dès le VIIe siècle, un monastère est fondé sur son tombeau." (source: Saint-Denis-lès-Sens)

* Un internaute nous écrit: Sainte Colombe subit le martyre à Saint-Clément - 89100. Au lieu de son supplice existent un calvaire et une source et des processions y sont toujours organisées.

À Sens, sainte Colombe, vierge et martyre.


Martyrologe romain



Statue de Sainte Colombe (fin XIXe siècle), 

Sainte Colombe (+274)

Jeune chrétienne de 16 ans résidant dans la ville de Sens (Yonne), certains auteurs lui attribuent des origines espagnoles. Elle est condamnée par Aurélien à être violée dans l’amphithéâtre de la ville. Lorsque se présente l’homme chargé d’appliquer la sentence, une ourse surgit soudain dans l’arène et se jette sur lui pour l’immobiliser. Colombe lui assure qu’il sera laissé libre à la condition qu’il se convertisse, ce à quoi il consent. La bête relâche aussitôt son étreinte pour le libérer. Dans une nouvelle tentative, Colombe et l’ourse sont condamnées à périr dans les flammes, mais à ce moment se produit une averse qui éteint le brasier. Colombe est finalement conduite à l’extérieur de la ville afin d’y être décapitée.

SOURCE : http://www.peintre-icones.fr/PAGES/CALENDRIER/Decembre/31.html


Statue de Sainte Colombe. Autel de l’Église Saint-Colombe, Hattstatt


Columba of Sens, VM (RM)

Born in Spain; died in Meaux, France in 273. While the date and circumstances of Columba's martyrdom are undocumented except in a spurious passio, her legend says that she fled her homeland in order to avoid being denounced as a Christian. She and other Spanish believers migrated to France and all were martyred at Meaux under Aurelian. Formerly she was venerated throughout France; the historical monuments of Sens still testify to this devotion (Attwater, Benedictines, Encyclopedia). In art, Saint Columba is portrayed as a crowned maiden in chains. At times she may (1) have a dog or bear on a chain, (2) hold a book and a peacock's feather, (3) be with an angel on a funeral pyre, or (4) be beheaded (Roeder). 


Santa Columba, Santa Coloma, Arceniega, Álava, Espagne


St. Columba of Sens

Suffered towards the end of the third century, probably under the Emperor Aurelian. She is said to have been beheaded near a fountain called d'Azon; and the tradition is that her body was left by her murderers on the ground, until it was buried by a man called Aubertus, in thanksgiving for his restoration to sight on his invoking her. A chapel was afterwards built over her relics; and, later on, rose the Abbey of Sens, which at one time was a place of pilgrimage in her honour. She is also said to have been patroness of the parish church of Chevilly in the Diocese of Paris, but her whole history is somewhat legendary.

Capes, Florence. "St. Columba of Sens." The Catholic Encyclopedia. Vol. 4. New York: Robert Appleton Company, 1908. 31 Dec. 2016 <http://www.newadvent.org/cathen/04135b.htm>.

Transcription. This article was transcribed for New Advent by Joseph P. Thomas.

Ecclesiastical approbation. Nihil Obstat. Remy Lafort, Censor. Imprimatur. +John M. Farley, Archbishop of New York.




Giovanni Baronzio, Scènes de la vie de Sainte Colombe : Colombe devant l’Empereur, 1340,
 tempera sur bois, 55 X 55, Pinacoteca di Brera


Santa Colomba di Sens Vergine e martire


† Sens, Gallia, III secolo

Titolare della Chiesa Cattedrale, santa Colomba proveniva da una famiglia pagana; dopo essere stata battezzata, si trasferì a Sens in Francia. Fu martirizzata per ordine dell'Imperatore Aureliano nella seconda metà del III secolo. Il culto di santa Colomba giunse a Rimini provvidenzialmente: alcuni mercanti di Sens, che veleggiavano nell'Adriatico, portando con sè una reliquia di santa Colomba, furono costretti ad approdare a Rimini, dove la reliquia, accolta da Stemnio, Vescovo di Rimini, fu posta nella Cattedrale.

Martirologio Romano: A Sens nella Gallia lugdunense, ora in Francia, santa Colomba, vergine e martire.

Santa Colomba di Sens, è stata una delle martiri più celebri di tutto il Medioevo e il suo culto ebbe una larga diffusione. Ciò nonostante, le notizie storiche che la riguardano, sono circondate dalla leggenda; la stessa 'Passio' è piena di luoghi comini, tipici della agiografia aurea dei primi martiri.


Colomba è presentata come appartenente a nobile ma pagana famiglia di Spagna e vissuta nel III secolo; per sottrarsi al culto degli dei, lasciò la famiglia e si recò in Gallia prima a Vienne dove ricevé il Battesimo, poi a Sens. Sembra che il suo vero nome fosse Eporita e che sarebbe stata poi chiamata Colomba per la sua innocenza.

A Sens, fu arrestata come cristiana a causa della persecuzione in atto in tutto l'Impero Romano; trovandosi in città l'imperatore Aureliano Lucio Domizio (270-275), fu condotta davanti a lui, che nel tentativo di farla rinunziare alla verginità cristiana, sarebbe giunto a proporle il matrimonio con suo figlio.

Ma poi irritato per il suo rifiuto, la condannò ad essere chiusa nell'anfiteatro in una 'cella meretricia'; ma quando si presentò un giovinastro per abusare di lei, un'orsa dell'anfiteatro intervenne a proteggerla, mettendo in fuga l'uomo.

Visto che nessuno dei soldati volle più intervenire, Aureliano infuriato, ordinò che sia la vergine, sia l'orsa fossero bruciate; ma una nube proveniente dall'Africa, procurò una provvidenziale pioggia, che spense il fuoco già preparato; mentre l'orsa scappò via nei campi. L'imperatore ostinato, allora condannò Colomba alla decapitazione, dopo un ultimo tentativo di farle cambiare fede.

La giovane, appena sedicenne, subì il martirio non lontano da Sens e fu sepolta da un tale, che invocandola aveva recuperata la vista; ciò avvenne nella seconda metà del III secolo, negli anni fra il 270 e il 275, facendo riferimento all'imperatore Aureliano, trovatosi a Sens per le sue guerre in Gallia.

Veneratissima nella Francia dell'epoca, il re Lotario III nel 620 fondò sul sepolcro della santa, la celebre abbazia reale di Sainte-Colombe-les-Sens. Nel 623 il vescovo di Sens, s. Lupo († 623) volle essere sepolto ai piedi della martire; nell'853 il vescovo Wessilone nel consacrare la nuova chiesa, trovò unite le reliquie dei due santi e le fece avvolgere in un prezioso sudario in tessuto orientale, i cui pezzi ritrovati nel XIX secolo, sono conservati nel tesoro della cattedrale.

La chiesa dell'abbazia fu costruita una terza volta e consacrata nel 1164 da papa Alessandro III, poi distrutta nel 1792 al tempo della Rivoluzione Francese.

I resti del complesso dell'abbazia e della chiesa, furono acquistati nel 1842, dalle religiose della Santa Infanzia di Gesù e Maria, che vi edificarono la loro Casa Madre, salvaguardando i resti dell'antica cripta; le reliquie di s. Colomba erano comunque già stata trasferite sin dal 1803 nella cattedrale di Sens.

Numerose sono le chiese dedicate alla santa martire, in Francia, Spagna, Fiandre, Germania e in Italia, dove il culto si diffuse particolarmente a Rimini. Secondo i racconti tradizionali locali, alcuni mercanti che navigavano nell'Adriatico, avevano con sé una reliquia del capo di santa Colomba, ma furono costretti ad approdare a Rimini, dove la reliquia fu accolta dal vescovo Stennio e posta nella cattedrale.

Nel 1581 mons. Castelli vescovo di Rimini, essendo nunzio apostolico in Francia, ottenne dai monaci dell'abbazia di Sens, le reliquie di una costola e due denti della martire, che dal secolo XVIII sono conservate in un busto reliquiario ora posto nel Tempio Malatestiano, la nuova cattedrale, che sostituì l'altra demolita nel 1815 dedicata alla SS. Trinità e a S. Colomba.

Si è parlato di una traslazione del corpo di Colomba a Bari nel sec. XVII, ma senza alcun serio fondamento.

A partire dal Martirologio Geronimiano, fino a quello Romano, la festa di s. Colomba è riportata al 31 dicembre. La popolarità del culto in Francia, andò poi lentamente scemando e fallì nel secolo XIV il tentativo di riportarlo in larga diffusione. A Sens, a causa di una festa locale, concomitante con l'ultimo dell'anno, la celebrazione fu spostata al 27 luglio più altre ricorrenze, come la traslazione delle reliquie e la dedicazione della sua chiesa.

Santa Colomba è invocata per ottenere la pioggia e i suoi attributi iconografici sono un'orsa incatenata ed una penna di pavone al posto della palma dei martiri.

Autore: Antonio Borrelli




Vitrail, église Sainte-Colombe (Chevilly-Larue)

Studio su Santa Colomba a cura di Joseph-Gabriel Rivolin

Lo storico valdostano ci ha fatto dono di questo suo approfondito lavoro
Se oggi il nome di santa Colomba dice poco, nell'alto Medioevo il suo culto, promosso dai re merovingi, fu molto diffuso in tutto l'Occidente cristiano ed ebbe come centro l'abbazia reale di Sainte-Colombe-lès-Sens, fondata da Clotario II nel 620 circa attorno alla tomba della santa. Colomba rientra dunque a pieno titolo nel novero dei santi il cui culto, come notavano già monsignor Duc e l'abbé Henry, provenne dalla Gallia all'epoca in cui la Valle d'Aosta era parte integrante del regno dei Franchi.
Che si possa collocare la fondazione della chiesa di Charvensod in epoca merovingia e in connessione con una grande proprietà di origine gallo-romana, appare tanto più probabile, quanto più si conosca il progressivo radicamento della religione cristiana nel corso della tarda Antichità e dell’alto Medio Evo. Michel Aubrun, nel ricostruire le prime fasi della storia dell’istituto parrocchiale, descrive come si fosse passati dalle poche chiese battesimali extraurbane di epoca paleocristiana al fiorire di oratori privati, collocati appunto nell’ambito di grandi domaines appartenenti a proprietari laici, sin dalla fine del V secolo. Autorizzato formalmente dal concilio di Agde del 506, il culto in cappelle private, collegato alle esigenze religiose della famiglia del dominus e dai suoi servi, coloni e sottoposti, subì una naturale evoluzione verso la formazione di autonome parrocchie, la cui ufficializzazione avvenne progressivamente, adducendo ragioni di comodità, di sicurezza, di lontananza degli oratori dalle pievi originarie. Tale processo avvenne per l’appunto a partire dalla fine del V secolo e si protrasse sino all’epoca carolingia, in cui la parrocchia, diffusasi capillarmente mediante la disgregazione delle antiche e vaste plebanie di origine paleocristiana, divenne un vero e proprio instrumentum regni per l’inquadramento della popolazione, non soltanto sotto l’aspetto religioso.
Perché, quindi, propendere per una datazione del titulus di Santa Colomba di Charvensod all’epoca merovingia piuttosto che a quella carolingia? È presto detto: Colomba, il cui culto fu particolarmente in auge all’epoca di Clotario II (re dal 584 al 629), come si è ricordato, era una martire e si ricollegava quindi a una tradizione più antica, rispetto ai culti per i santi confessori e particolarmente per i santi locali: culti che si diffusero appunto in epoca carolingia, ma cui la Chiesa stentava ancora, all’epoca di Carlo Magno, a riconoscere piena legittimità, come dimostrano i canoni del concilio di Francoforte del 794, ostili all’introduzione di "nuovi" santi che non avessero subito la prova del martirio. Per reazione, il periodo successivo vide la moltiplicazione di chiese dedicate a santi locali, in genere confessori. Pur non costituendo un argomento decisivo, la qualità di martire della patrona della chiesa di Charvensod è dunque un elemento che rende più probabile l’ipotesi di un’intitolazione di essa in un’epoca successiva alla costruzione dell’abbazia di Sens, ma precedente la fine dell’ottavo secolo.

SOURCE : http://www.comune.charvensod.ao.it/charvensod/index.cfm/studio-su-santa-colomba-a-cura-di-joseph-gabriel-rivolin_1-27-111-0.html


Santa Colomba: dalla Francia a Bari

Nella cripta della Cattedrale di Bari sul lato sinistro in una teca climatizzata,  sono conservate le reliquie di Santa Colomba di Sens che si festeggia il 31 dicembre l’ultimo giorno dell’anno . Dopo San Nicola la Santa  è molto venerata dai fedeli ortodossi, dai turisti (soprattutto francesi e spagnoli) e dai visitatori   che quotidianamente visitano la cripta. Tutti sono incuriositi della sua presenza e   interessati a conoscere la storia di questa misteriosa santa.
Ma chi era Santa Colomba e come si trovano a Bari le sue reliquie?
La vita e il culto

Colomba nacque in Spagna nel 257 e morì a Sens (Francia) nel lontano 273. Era una patrizia che si converti al cristianesimo e morì decapitata. Di famiglia nobile pagana si convertì al cristianesimo a 16 anni. Dopo aver ricevuto il battesimo scappò dalla Spagna insieme ad altri cristiani per sfuggire alle persecuzioni dell’imperatore Aureliano e  si trasferì a Sens. Fu rintracciata e rinchiusa in carcere. La leggenda narra che, mentre Colomba si trovava in carcere, una guardia cercò di violentarla e un orso, usato per gli spettacoli in un vicino anfiteatro arrivò in suo soccorso attaccando la guardia e liberando Colomba dal suo aggressore e dalla  sua cella. È narrato che Colomba dopo essere stata salvata dall’orso, sia stata destinata a perire sul rogo; tuttavia anche in questo caso fu salvata da un provvidenziale acquazzone che spense le fiamme Da ciò ha origine l’invocazione alla santa da parte dei fedeli per la tutela dal pericolo degli incendi. Fu martirizzata più tardi mediante decapitazione per volontà di Aureliano intorno al 273. Il martirio avvenne nella città di Sens vicino ad una fontana detta di Azon. La tradizione dice che un cieco di nome Aubertus riacquistò la vista dopo aver invocato Santa Colomba. In ringraziamento Aubertus avrebbe preso il corpo dal luogo, dove era stata giustiziata e le avrebbe dato una sepoltura dignitosa. Nel luogo della tomba fu costruita una cappella e, in seguito nel 620 circa Clotario II fondò una abbazia di Sainte Colombe lès Sens. In quel periodo la forte devozione verso questa martire è testimoniata anche dal fatto che altre chiese francesi le sono state dedicate. Il culto di Santa Colomba giunse in Italia a Rimini in maniera provvidenziale: si racconta che alcuni mercanti di Sens, che viaggiavano nell’Adriatico portando con sé una reliquia di santa Colomba, furono costretti ad approdare a Rimini. La reliquie fu accolta da Stemnio vescovo della città dal 313 circa, e fu posta nella cattedrale di Rimini dedicata poi alla stessa santa. Nell’alto medioevo il culto arrivò anche in Valle d’Aosta. Evidenze si trovano nel comune di Charvensod, dove la chiesa parrocchiale è titolata alla Santa. Anche ad  Atri sono conservate  alcune reliquie della Santa nel Museo Capitolare.
L’arrivo a Bari

Le reliquie a Bari di santa Colomba sarebbero arrivate intorno al XVIII secolo, portate da alcuni vincenziani francesi in fuga dagli Ugonotti. Le reliquie furono in un primo momento conservato nel palazzo della Missione dei Vincenziani (ex tribunale militare ubicato in Via San Francesco d’Assisi) dove ancora oggi esiste una cappella dedicata alla Santa e, successivamente traslate  in Cattedrale l’8 maggio del 1939 per volontà  dell’Arcivescovo di Bari Mons.  Marcello Mimmi. Quello che si vede nella teca , non è il corpo incorrotto della Santa come può apparire, ma si tratta di ossa ricomposte in un involucro di stoffa  e coperte  con un sontuoso abito da seta forse donato da Gioacchino Murat generale francese e Re di Napoli. La presenza di Santa Colomba a Bari ha fatto sì che la santa diventasse protettrice dei colombi, uccelli dei quali porta il nome: una leggenda vorrebbe che il suo corpo sia giunto in città portato in volo da molti di questi volatili. La Santa è  invocata anche per ottenere la pioggia e,  in questo momento in  Puglia c’è tanto   bisogno di acqua.

Michele Cassano





Bienheureux ALAIN de SOLMINIHAC, chanoine régulier de Saint-Augustin et évêque


Bienheureux Alain de Solminihac

Évêque de Cahors (+ 1659)

Évêque "malgré lui", Alain de Solminihac aura pendant les 21 années de son épiscopat une préoccupation essentielle: introduire et faire appliquer dans le diocèse les décrets du concile de Trente. Pour cela il sera évêque "itinérant", accordant beaucoup de soin aux visites pastorales. Jean-Paul II le béatifia en 1981.

(cf. site Internet du diocèse de Cahors)

- vidéo: Le père Lucien Lachièze-Rey nous raconte... le Bienheureux Alain de Solminihac

À Mercuès près de Cahors, en 1659, le trépas du bienheureux Alain de Solminihac, évêque de Cahors, qui s’appliqua à corriger les mœurs de son peuple par ses visites pastorales et s’efforça par tous les moyens, avec un zèle apostolique, de rénover son Église.

Martyrologe romain

SOURCE : http://nominis.cef.fr/contenus/saint/334/Bienheureux-Alain-de-Solminihac.html

Alain de Solminihac

(1593-1651)-BÉATIFIÉ LE 4 OCTOBRE 1981

1. La vie d’Alain de Solminihiac

1-1-L’enfance et l’adolescence

Alain de Solminihac naquit le 25 novembre 1593 au château de Belet, situé à une vingtaine de kilomètres à l’ouest de Périgueux. D’une bonne et ancienne noblesse du Sarladais, sa famille était restée fidèle au catholicisme, dans une région très infiltrée par le protestantisme et dévastée par les Guerres de religion.

Alain, numéro 3 des garçons de la famille était intelligent et séduisant, ayant tout pour devenir un gentilhomme accompli. Il fut donc initié à toutes les disciplines mondaines de son rang: équitation, escrime, danse, chasse, et bien sûr, les belles manières. À l’âge de dix-sept ans, c’était non seulement un jeune homme à l’esprit chevaleresque et généreux, mais son sens de l’honneur le poussait à s’engager au service du Roi, parmi les chevaliers de l’Ordre de Malte.

Alain avait un oncle, Arnaud qui était Abbé de Chancelade. Afin que le bénéfice de l’abbaye reste dans la famille, Arnaud se tourna vers les enfants de son frères. N’étant pas satisfait des deux aînés, il fit appeler Alain. Les aptitudes du neveu plurent à l’oncle qui lui proposa sa charge, et Alain accepta.

Arnaud remit sa démission au roi et demanda pour son neveu un brevet de nomination. Las! Alain n’avait pas de diplôme universitaire, obligatoire... Qu’à cela ne tienne, Alain entra à l’université de Cahors et devint bachelier en droit canon le 2 avril 1614. Le jour même il recevait la tonsure. Six mois plus tard, les bulles de nomination d’Alain de Solminihac à l’abbaye de Chancelade étaient signées par le pape Paul V. Quand Alain les reçut, il revêtit l’habit blanc des chanoines réguliers de Saint-Augustin... et commença son noviciat! Il avait 20 ans.

1-2-Un jeune Abbé

Vers 1125, une dizaine d’ermites qui vivaient dans des cabanes firent profession selon la règle de Saint Augustin[1]: l’Abbaye de Chancelade était née. Le temps, la Guerre de Cent Ans, l’occupation des lieux par les Anglais, puis les guerres de religion et les ruines matérielles  l’avaient peu à peu transformée en une abbaye presque fantôme, exsangue et ruinée. Arnaud de Chancelade, homme faible et timoré, devenu Abbé en 1581, se montra impuissant pour la relever de ses ruines. La vie religieuse périclita. Chancelade était devenue comme une petite sœur de l’abbaye de Thélème, chère à Rabelais...

Quand Alain arriva à Chancelade, il n’y avait plus que trois religieux !!!

Alain, novice, commença rapidement sa formation. Il était toujours fidèle à l’heure d’oraison, aux offices et aux activités de l’abbaye. Le 15 juin 1615, il devenait officiellement Abbé de Chancelade ; le 19 mars 1616, il recevait les ordres mineurs, et le 28 juillet se consacrait à Dieu.

Lentement, afin de ne pas soulever trop de résistances, Alain commença à réformer son abbaye: récitation de l’office au chœur dès 4h et demi, le matin, puis messe conventuelle, repas pris ensemble et rétablissement de la vie commune... Mais Alain ne pouvait que constater son inexpérience et son manque de connaissance des sciences ecclésiastiques. En conséquence, il apprit d’abord le latin, puis, après avoir été ordonné prêtre le 22 septembre 1618, il monta à Paris pour parfaire ses études. Alain avait 25 ans. Il y avait maintenant quatre moines à Chancelade, et la réforme était bien amorcée.

À Paris, Alain travaille quatorze heures par jour, et après ses cours, suit les sermons de François de Sales. Par ailleurs, il est déjà l’ascète que l’on connaîtra plus tard, car, même à Paris, Alain de Solminihac restait l’Abbé de Chancelade, et il ne manquait pas de s’informer sur les usages monastiques de la région et sur les expériences de réformes canoniales déjà entreprises.

Pendant son séjour à Paris, Alain de Solminihiac se fit des amis, dont Monsieur Vincent. Après un séjour de quatre ans, Alain rentra  à Chancelade. (Septembre 1622)

1-3-La réforme de Chancelade

Avant de perfectionner la réforme entreprise, Alain demanda la bénédiction abbatiale de l’Évêque de Périgueux. Maintenant, Alain de Solminihac pouvait penser à rebâtir son abbaye: dortoirs, réfectoire, cuisine, bibliothèque, Église abbatiale. Alain n’hésita pas à mettre la main à la pâte et à transporter les matériaux. Mais jamais il ne mutila les exercices liturgiques ni les heures d’oraison. Il semble que vers 1633, l’ensemble était achevé.

Où Alain trouva-t-il l’argent nécessaire ? Les biens de l’abbaye étaient faibles et les gens du voisinage peu empressés à faire des prêts et encore moins des dons. Mais l’exemple donné par l’abbé de Chancelade était tel que bien des fermiers du voisinage, qui avaient obtenu des protestants, à des prix très bas, des terres ayant appartenu autrefois à l’abbaye, les rendirent, pris de remords. Et puis quand on prie vraiment et qu’on accomplit son œuvre, Dieu accorde le reste, par surcroît.

La mise en place de la réforme, conformément aux directives du Concile de Trente, et compte tenu de la précarité des locaux, se fit progressivement. Il faut ajouter ici que l’abbé de Chancelade s’était également conformé à ce que l’ordre canonial avait produit de meilleur. Après 1630, à Chancelade, ce fut une vraie floraison: de 1630 à 1636, l’abbé reçut la profession de 46 novices.

1-3-1-Quelques points du règlement

– À minuit, lever pour l’office des Matines et des Laudes. Puis chacun regagnait sa cellule pour se rendormir.

– Cinq heures, lever définitif.  Première méditation devant le Saint-Sacrement à 5h30, puis office de Prime. Ensuite les prêtres qui le désiraient disaient leur messe. Les autres religieux travaillaient ou priaient.

– 9h un quart, chant de Tierce, puis messe conventuelle. Alain veillait avc un soin jaloux sur la beauté des offices, “car le Chœur, c’est l’honneur des chanoines, et, disait-il, les saints du ciel sont dans une perpétuelle louange de Dieu, et c’est un acte bien relevé.”

– Après Sexte, premier et principal repas de la journée. Dîner et souper se prenaient en silence, tandis qu’une lecture spirituelle nourrissait les esprits.

– Après le repas, office de None: c’était ensuite le milieu du jour, et la récréation. La discrétion était de mise dans la conversation.

Voici les propres résolutions d’Alain : “... Nos discours seront le plus que nous pourrons des choses spirituelles et de ce qui nous pourra enflammer de l’amour de Dieu. Je ne parlerai point des fautes des autres... Je m’abstiendrai de paroles aigres... Je m’étudierai de faire paraître une modeste et religieuse gravité, soit parmi nos frères ou parmi les séculiers, parmi lesquels j’écouterai plus que je ne parlerai, si mon devoir ou la charité ne m’y oblige.”

– Après la récréation, c’était de nouveau le silence, et on récitait les litanies de la Sainte Vierge à l’église. Puis, travail.

– 15h15, chant des Vêpres. Travail.

– 17h, Complies, et souper. Récréation jusqu’à 19h. Enfin, dernier exercice de la journée et examen de conscience.

– 20h, coucher.

1-3-2-L’esprit de Chancelade

Les bruits du monde parvenaient peu à Chancelade, abbaye de “très étroite observance.” Alain répétait sans cesse : “Les communautés les plus florissantes, se sapent par de menues infractions à la règle.” Chaque fois qu’il devait partir en voyage, sa seule consigne était : “Observez les règles et les constitutions.”

On a dit que la spiritualité de Chancelade était celle de la “sainteté cachée”, celle de la “petite voie, des exercices communs de la religion,” et non les choses particulières ou les records de pénitences et d’oraisons. “Il ne faut pas amaigrir le corps pour engraisser l’amour-propre,” disait-il.

L’obéissance, “moyen facile et le plus court pour arriver à la perfection”, était particulièrement recommandée, “car elle met l’âme en repos et la fait vivre sans aucun souci... Le religieux ne peut être bien avec Dieu s’il n’est bien avec son supérieur.”

Alain plaçait l’humilité comme la pièce maîtresse dans l’édifice spirituel, car elle donne le sens du néant et fait découvrir tout le chemin qu’il faut encore parcourir “pour arriver à la perfection des vertus que nous avons.”

Enfin, Alain estimait qu’il “était tout à fait nécessaire pour planter et maintenir les réformes, d’avoir un grand amour de la Croix... Si cet amour vient à manquer, les réformes seront bientôt à bas.”

L’esprit de Chancelade était avant tout un esprit d’amour et d’abandon à la volonté divine: “Une des choses qui empêchent le plus notre avancement à la perfection, c’est de ne pas nous abandonner entièrement à la volonté de Dieu et de ne pas nous livrer entre les mains de la Providence paternelle de Dieu qui a un soin incroyable de l’avancement de ceux qui se sont libéralement abandonnés à sa bonté, et ne se laisse jamais vaincre en libéralités, les comblant de grâces et de lumières.”

L’esprit de la réforme de l’abbé de Chancelade était un “esprit d’amour...” Et Alain précise : “Cet amour nous donne un grand et efficace désir de nous y perfectionner par la pratique de notre règle et constitutions et dans l’esprit de notre institut... et il n’y a rien de difficile à celui qui a un grand amour de sa chère vocation.”  Ce n’est pas la grandeur des actions qui rend grand, mais les petits actes faits “avec un grand amour et un grand désir de plaire à Dieu... La vie spirituelle est un char qui doit rouler sur quatre roues : la pauvreté, la chasteté, l’obéissance et l’humilité, et être conduit par l’amour de Dieu.” En un mot, selon l’abbé de Chancelade, “l’esprit des chanoines réguliers consiste en une dévotion édifiante,, une charité condescendante et une obéissance amoureuse.”

L’abbaye de Chancelade devait être un centre d’attraction spirituelle en raison, d’une part de la beauté de ses offices, et d’autre part, de ses services: sacrements, prédication, catéchismes, etc. En cas de famine (ce qui était fréquent à cette époque), l’abbaye devait se transformer en asile de charité. Car une des principales fonctions des chanoines c’est “l’assistance du prochain par le moyen de la prédication de la parole de Dieu et des confessions...”

L’abbé Alain voulait que ses moines deviennent des apôtres, et des apôtres à l’extérieur. Il voulait aussi insérer ses religieux dans le ministère paroissial, pour qu’ils vivent avec le peuple et pour le peuple. Mais, afin de lutter contre les abus qui avaient cours à l’époque, ses religieux devaient s’engager, au moment de leur profession à ne pas se procurer bénéfice, paroisse, aumônerie, etc, sans la permission du supérieur. C’était comme un “quatrième vœu.”

Une autre difficulté devait être surmontée, qui aurait pu ruiner sa réforme. L’abbé ne devait plus être nommé de l’extérieur, par des personnes n’appartenant pas à l’abbaye. Pour éviter toutes les influences extérieures, Alain choisit le retour à la tradition: il rendit son abbaye élective par le chapitre des chanoines. Les formalités étant complexes, Alain confia sa démarche à la Vierge Marie, et il eut gain de cause.

1-3-3-Le rayonnement de Chancelade

En 1628, à la demande du Père Joseph, éminence grise de Richelieu, l’abbé de Chancelade visita les Calvairiennes et entreprit des visites canoniales dans les abbayes du Limousin et de l’Aquitaine. Les désastres étaient grands... et, au milieu de la décadence générale que l’on pouvait constater, l’abbaye de Chancelade rayonnait. Bientôt elle sera en mesure d’envoyer des groupes de ses chanoines dans les maisons qui en avaient besoin et qui étaient prêtes à accueillir les réformes. L’abbaye de La Couronne en fut la première bénéficiaire, et elle devint rapidement pour Angoulême ce que Chancelade était à Périgueux. Ensuite vinrent Saint Gérald, de Limoges, puis Sablonceaux, non loin de Saintes.

À Pébrac aussi, la réforme devenait urgente et Mr Olier, Fondateur des Sulpiciens, sollicitait l’abbé de Chancelade. Hélas!, ce fut un échec, tant les religieux se montrèrent récalcitrants...

Mais le mouvement était lancé, et, à Sainte Geneviève, à Paris, le Cardinal de La Rochefoucault, qui y était abbé, nommait le père Faure supérieur de la Congrégation qu’il avait érigée dans la province de Paris. Malheureusement, le 4 mars 1635, une ordonnance décréta qu’il n’y aurait plus, désormais, qu’une seule congrégation des monastères de l’ordre de Saint Augustin. Chancelade pouvait rester en dehors de cette congrégation, mais ne pouvait pas ouvrir d’autres abbayes.  Alain conservait Chancelade, mais, victime de mesures de ségrégation  son œuvre était menacée, à brève échéance. Obéissant à de sages conseils, Alain resta seul à Chancelade, et sauva sa réforme.

Devenu évêque, Alain de Solminihac resta toujours très attaché à ses religieux de Chancelade malgré les épreuves; il demeura aussi indéfectiblement fidèle à son Roi tout au cours de la Fronde, et au pape. Sa devise, aimait-il répéter, c’est “la pureté et la fidélité.”

1-4-Alain de Solminihac, évêque

Un soir d’avril 1636, un courrier royal annonçait à Alain de Silminihac sa nomination au siège épiscopal de Lavaur. L’abbé de Chancelade fut grandement consterné. Il écrivit à Richelieu pour lui signaler son refus. “Abbé il était, abbé il voulait rester: telle était sa vocation.” À l’Archevêque d’Arles, Alain écrivit: “Hors la foi, je ne tiens rien de plus assuré. Vous-même m’avez avoué qu’il me faudrait une révélation pour me la faire changer... Je dois par mille raisons demeurer dans ma vocation que je chéris beaucoup plus que ma vie.”

Le Roi refusa son refus et le choisit pour l’évêché de Cahors. Alain n’avait échappé à Lavaur que pour se voir promu au siège plus important de Cahors.

Alain résista longtemps. Louis XIII étant prêt à entreprendre des démarches à Rome, Alain finit par s’incliner : c’était la volonté de Dieu.

1-4-1-Alain de Solminihac, évêque

Alain dut se résigner; Il écrivit au Roi Louis XIII qu’il acceptait la charge. Mais Alain n’oublia jamais qu’il était d’abord un religieux et poursuivit sa vie d’ascète, car, dit-il un jour : “On n’est pas évêque pour chercher ses plaisirs, mais pour porter dans son corps la mortification du Christ.”

Novice dans tout ce qui concernait l’administration d’un diocèse, Alain commença son apprentissage d’évêque. Il rencontra plusieurs évêques qui lui donnèrent de sages conseils. Puis les membres du clergé vinrent faire une première visite, de politesse (ou de curiosité?) à leur nouvel évêque. Alain reçut ses prêtres avec bonté, parfois en réprimant une certaine irritation, car plusieurs vinrent en habit civil... Il reçut aussi les notables... et il apprit beaucoup sur la situation de son diocèse et sur les besoins les plus urgents.

1-4-2-L’état du diocèse de Cahors en 1638

Le diocèse de Cahors (7461 km2), à cette époque, était beaucoup plus vaste qu’il ne l’est aujourd’hui, s’étendant sur les Causses jusqu’à la limite du Limousin, le Lot, les rives de la Dordogne jusqu’à Moissac puis au confluent du Tarn et de la Garonne, jusqu’à la frontière de la Gascogne et du Languedoc. Cela représentait près de 800 paroisses groupées en quatorze archiprêchés: Cahors, Luzech, Belaye, Pestillac, Salviac, Gourdon, Gignac, Thégra, Cajarc, Saint-Cirq, Montpezat, Moissac et les Vaux. Un clergé abondant desservait les fidèles: 800 recteurs et vicaires, 100 chapelains, et une foule de prêtres... En 1638, il “ne devait plus y avoir” qu’un prêtre pour 150 à 200 habitants!

Le clergé était nombreux, mais nombreuses aussi étaient les plaies dont il souffrait. Des abus s’étaient glissés dans ce clergé. Alain écrivit à certains de ses amis évêques : ”ILs marchaient en habits courts et de diverses couleurs... Ils paraissent en habits courts et bas blancs... Ils ne disent jamais la messe ni n’assistent aux offices... Des prêtres emploient des biens ecclésiastiques destinés pour la nourriture des pauvres, à nourrir des bêtes pour servir à leur plaisir... Du cabaret, certains ont fait leur demeure ordinaire: ils y boivent et se divertissent dans des jeux de cartes ou de dés... On note des cas de concubinage, et l’on ne fait pas de difficulté de mettre dans les livres des baptisés, après le nom des enfants illégitimes, celui de leur père avec expression de sa qualité de prêtre... “

Certains pasteurs viennent dans leur paroisse pour y percevoir les bénéfices, mais vivent ailleurs. Aussi les paroissiens se trouvent-ils privés de messe et d’instruction religieuse. Parallèllement, toute une autre catégorie de prêtres vit dans des conditions financières difficiles, surtout les vicaires.

Enfin, et c’est peut-être le plus grave, ce clergé n’a reçu qu’une formation morale ou intellectuelle embryonnaire. Les curés négligent leurs devoirs car ils ne les connaissent pas! “J’ai trouvé aussi, dit Alain,”les curés pour la plupart dans une fort grande ignorance des obligations de leur charge.” On s’étonnait de voir un ecclésiastique monter en chaire. En 1651, sur 400 vicaires, un seul est bachelier en théologie. Mais constate Mgr Alain, les prêtres de son diocèse pèchent surtout par manque de connaissance, victimes d’une époque de violence et d’une ambiance de laisser-aller.

Car la violence règne partout: contexte social explosif, guerres de religion qui, dès 1621 ont ravagé les régions de Cajac, Capdenac et Figeac; puis ce furent les révoltes des protestants en 1625 en 1628, avec leurs cortèges de malheur: récoltes dévastées, vignes et arbres arrachés, maisons brûlées, puis la peste... et enfin la révolte des Croquants du Périgord. Les ruines s’étaient accumulées, et les édifices du culte n’avaient pas été épargnés: quand elles existaient encore, les églises étaient devenues des granges ou des magasins. Pour compléter ce sombre tableau, il faut ajouter les ruines familiales: libertinage, infidélité conjugale, etc. L’ignorance religieuse est totale, et pourtant, dans ces ruines, la foi restait vive...

1-4-3-Le nouvel évêque

Mgr de Solminihac est un grand Seigneur: évêque, baron et comte de Cahors. Ses droits étaient très importants, et Alain sut les préserver quand il le fallait. Mais Alain, n’oublia jamais qu’il était religieux, et son épiscopat fut un des plus prestigieux de l’époque.  À l’étonnement de beaucoup, l’évêque de Cahors continuait à mener une vie simple et monacale. Alain n’accepta jamais que les murs de sa résidence fussent revêtus de tapisseries, car, disait-il, “Il vaut mieux revêtir des pauvres que des murailles.”

Évêque et religieux, Mgr de Cahors sut allier les deux styles de vie, et la vie à Morcuès, sa résidence épiscopale habituelle, fut ordonnée comme dans un monastère. Toute sa maison, une vingtaine de personnes, dut se soumettre à ses exigences: “Tous considéreront qu’ils sont de la famille non seulement d’un évêque, mais encore d’un évêque religieux; c’est pourquoi il faut qu’ils soient religieux en leur vie, mœurs et conversation.”

L’emploi du temps d’Alain laissera percer le mystère du religieux devenu évêque:

– de 4 heures à neuf heures: réveil, chapelet, puis une heure d’adoration avec toute la famille épiscopale, prime et étude, tierce, sexte, messe et action de grâces.

– 9 heures : audience et étude.

– 11 heures : repas puis reprise des audiences, étude, affaires.

– 15 heures : vêpres, étude.

– 18 heures : office, collation, audiences pour les officiers domestiques, étude.

– 20 heures : litanies de la Sainte Vierge, lecture du sujet de méditation pour toute la communauté.

– 20 h 1/4 Oraison particulière.

– 21h 1/4 étude.

– 22 heures : coucher.

Au fil des années, cet emploi du temps se modifiera, l’oraison empiétant de plus en plus sur le travail intellectuel, jusqu’à atteindre quatre ou cinq heures par jour, voire plus. En voyage [2], ou lors des nombreuses visites qu’il fit à son diocèse, Mgr de Cahors s’efforçait d’être fidèle à son programme, que ce fut dans son carrosse ou à l’hôtel.

2. L’œuvre de Mgr Alain

2-1-la réforme du Clergé

Le synode d’avril 1638 fut le point de départ de la réforme. C’était, pour Alain, le premier contact officiel avec ses prêtres. D’emblée il critiqua les mœurs de son clergé. Tout le monde comprit!... Ce premier synode s’acheva dans la confiance, après avoir réalisé un travail positif: nouveau code de la vie sacerdotale, projet d’érection d’un séminaire. Désormais, au lieu de se divertir à la chasse, au jeu, etc, le clergé sera obligé de travailler la théologie, d’instruire la jeunesse, de visiter les malades et les pauvres. Et une fois par an, les prêtres devront se retirer pour une retraite spirituelle de huit à dix jours. Tous devront posséder une bible et les actes du Concile de Trente ainsi que son Catéchisme.

La réforme ne se mit en place que lentement, et Alain dut lutter pendant longtemps contre l’incurie intellectuelle, les abus et les infractions. Sa sévérité ne fut pas du goût de tout le monde, et les plaintes, les procès contre Mgr Alain se multiplièrent. L’évêque tint bon : “Je dépenserai plutôt tout mon revenu que de souffrir en mon diocèse les vices du clergé. Si le parlement ne me fait pas justice, j’irai me jeter aux pieds du Roi pour la lui demander.”

Malheureusement quelques prêtres bénéficiaient de la complicité des laïcs, et Alain dut souvent lutter. Voici, entre autres, un exemple. Au comte de Clermont qui avait donné asile au curé de Saint Vincent dont la vie était pour le moins scandaleuse, Mgr Alain, pour se justifier, écrivit : “Il n’y a rien de si étroitement commandé et recommandé aux évêques par les saints décrets que la correction des ecclésiastiques et particulièrement des pasteurs, jusqu’à ce point qu’ils veulent que leurs crimes, s’ils les tolèrent, leur soient imputés comme les leurs propres. C’est ce qui m’a obligé, dès que Dieu m’a appelé à cet évêché, de travailler avec soin pour corriger ceux que j’ai trouvés dans mon clergé...

Le Recteur de Saint-Vincent, quoique averti et admonesté paternellement... a néanmoins continué à mener une vie scandaleuse. Ce qui a obligé mon official, sur les informations qui ont été faites, de décréter prise de corps contre lui, et mon promoteur de le faire prendre et conduire à Cahors pour être retenu dans mes prisons. Mais il s’en évada par l’assistance de quelques personnes que je n’ai pas encore découvertes, et comme il a appréhendé avec raison qu’on le ferait reprendre, il s’est réfugié, ce qu’on m’a assuré, dans votre château de Castelnau. Je ne puis croire que vous voulez donner retraite à un prêtre si scandaleux pour lui éviter la peine que méritent ses crimes... Ce qui m’oblige à vous supplier, Monsieur, de le chasser de chez vous afin qu’il soit conduit dans mes prisons, étant très étroitement obligé d’employer toute l’autorité que Dieu m’a donnée pour lui faire faire son procès. Je serai bien mari que vous me donnassiez sujet de l’employer contre vous.”

À cette époque, les nominations relevaient souvent des abbés, des recteurs, de l’université, ou des seigneurs. L’évêque de Cahors ne disposant environ que d’un tiers des nominations, dut parfois en refuser certaines qui lui paraissaient indignes. Même aux plus grands et aux plus influents, tels Mazarin, Alain sut exposer ses raisons. Cela suscita des mécontentements, mais, dans le diocèse de Cahors, un nouveau clergé allait naître.

2-2-La formation du clergé

Les vicaires forains et les conférences ecclésiastiques

Afin de redonner une âme à son diocèse et de créer son unité, Alain commença par instituer les 14 archiprêtrés en 30 congrégations ayant chacune à sa tête un “vicaire forain”, soigneusement choisi. Alain les nomme, les forme et leur explique ce qu’il attend d’eux : visiter les paroisses du district, faire appliquer les ordonnances épiscopales, et convoquer et préparer les conférences ecclésiastiques: réunions mensuelles  obligatoires, auxquelles devait assister tout le clergé du district concerné. Trois thèmes y étaient généralement abordés : la vie spirituelle du prêtre, la vie morale et la pastorale. Un thème était cher à Alain : “le Saint Sacrement et les raisons qui nous obligent de l’honorer et de le faire honorer.” Ainsi, sans heurt, Mgr Alain mettait en œuvre la réforme tridentine. Et les fruits intellectuels étaient nombreux, les curés se mettant à relire l’Écriture, les Pères de l’Église et les décrets du Concile de Trente. Un livre relativement récent était vivement conseillé: “L’Introduction à la vie dévote” de François de Sales.

Au cours de ces conférences, qui ont le mérite de sortir les curés de leur isolement, Mgr Alain recommande aux prédicateurs de s’appuyer sur Dieu plus que sur la science, de ne pas monter en chaire si l’on est en état de péché mortel, de ne pas s’égarer dans les questions politiques. “Le meilleur prédicateur est celui qui, tout simplement et solidement, avec zèle et efficace, enseigne la doctrine chrétienne, recommande les vertus et condamne les vices.”

Enfin, pour établir l’unité dans son clergé, Mgr Alain fonda la confrérie du Saint-Esprit.

2-3-La rechristianisation du diocèse

Il fallait, d’urgence, renouveler la foi chrétienne: pour ce faire Mgr Alain mit en œuvre les missions paroissiales: il savait qu’il pouvait compter sur ses moines de Chancelade. Des équipes de six chanoines vont mettre tout en œuvre pour attirer les populations et rééduquer leur foi. À ses missionnaires Alain recommandait la pureté d’intention, le zèle pour la gloire de Dieu et surtout l’humilité : “Si je savais, disait-il que, parmi vous, l’un va convertir tout le monde mais ne possède pas l’humilité, je ne le laisserais pas prêcher.”

Tous les moyens devaient être mis en œuvre pour intéresser les foules, et les méthodes préconisées par Mgr Alain étonnent par leur modernité. À la fin de la mission, confessions et communions couronnaient ces riches journées paroissiales.

Les résultats de ces missions furent considérables : après douze ans de fonctionnement, “les vieux et les jeunes, depuis l’âge de cinq à six ans, savent non seulement les commandements de Dieu et les mystères de notre foi qu’ils sont obligés de savoir, mais encore en rendent raison d’une façon qui ravit d’admiration ceux qui le voient.”

2-3-1-Les visites pastorales

Mgr Alain fut un évêque itinérant. Il parcourut son diocèse en tous sens, sans déroger à ses obligations d’ascète et de religieux. Mais, disait-il, “il n’y a personne qui doive tant travailler qu’un évêque.” Les jours de visite, il se levait à trois heures et ne modifiait en rien la succession de ses exercices spirituels, puis il entamait son périple. Quel que soit le temps, Mgr Alain parcourait le Quercy: “Je me suis abandonné à Dieu, avoua-t-il un jour où les intempéries faisaient rage, en ce temps de la visite. Qu’il dispose de ma vie comme bon lui semblera, je la lui ai consacrée principalement en ce temps.”

Constamment Mgr Alain éduque et réforme : ”Continuelles missions, continuelles visites, voilà les moyens de choix qui forment et soutiennent la foi: les missions préparent aux visites pastorales et les visites pastorales confirment les missions.”

Pour clore le tout, Mgr Alain fait diffuser un catéchisme facile à retenir, et facile à réciter, car ce sont... des vers, et tout le monde doit les savoir par cœur...

2-3-2-Le séminaire de Cahors

Dès le début de son épiscopat, Mgr Alain manifesta son intention d’ouvrir un séminaire, conformément aux consignes du Concile de Trente. Malgré la fraîcheur des réactions de son clergé, la décision fut prise au cours de son premier synode (1638). Cinq ans plus tard, constatant un demi-échec, Mgr Alain s’adressa aux prêtres de la Mission, les Lazaristes de Mr Vincent. Protégé par le Roi dès 1643, le séminaire de Mgr Alain allait se développer rapidement.

Le séminaire s’orientait vers une initiation méthodique de l’état ecclésiastique, mais il n’y avait que peu d’aspirants, et bientôt, dans le clergé, commença une campagne de dénigrement contre les austérités de la vie qu’on devait y mener. Mais Mgr Alain et les Lazaristes venus de Paris ne cédèrent pas, et le séminaire de Cahors devint un vrai lieu de formation spirituelle où l’on acquérait l’esprit ecclésiastique. Les prêtres de Mgr Alain devaient inspirer le respect du prêtre et édifier le peuple.

Mgr Alain insistait beaucoup sur la nécessité de l’oraison, cet exercice capital. Il insistai : “Je n’ordonnerai personne qui ne promette d’y consacrer une heure chaque jour, sauf excuse légitime.” Tous les quinze jours le séminariste doit se confesser, et travailler à sa véritable conversion. Si un clerc se montrait ambitieux ou de mœurs douteuses, l’évêque était impitoyable, car dans ce cas, dit l’évêque, “ce sont plutôt ses propres intérêts qui l’ont fait rechercher l’état ecclésiastique qu’un véritable désir de servir Jésus-Christ en qualité de son ministre.”

Pourtant, malgré les difficultés, en quinze ans le séminaire de Cahors  devint prospère, réputé et rayonnant. En 1659, on y comptait 60 séminaristes. Et le clergé du diocèse de Cahors avait reconquis sa dignité au sein du peuple de Dieu, selon la pensée d’Alain: “Je n’ai rien trouvé de plus efficace pour la réforme générale de ce diocèse qu’un séminaire... Par ce moyen, j’ai pourvu mon diocèse d’ecclésiastiques capables et de vie exemplaire... Il semble que ce moyen embrasse tous les autres...”  À Cahors, “la prêtrise n’est plus la récompense de quelque valet qui savait un peu lire et chanter au pupitre du village.”

2-3-3-La reconquête du diocèse de Cahors. Alain de Solminihac, apôtre

Le jansénisme

Mgr de Solminihiac eut à lutter ferme contre le jansénisme dont les thèses hérétiques s’étaient introduites jusque dans l’université de Cahors.

Les calvinistes

Mgr Alain eut également à lutter contre les noyaux de calvinistes, qui subsistaient nombreux, dans le diocèse de Cahors. Mgr Alain, voulant ramener toutes ses brebis dans le bercail de l’Église, profitait de ses visites pastorales pour les exhorter à rejoindre l’Église. Dans les paroisses touchées par la Réforme protestante, il fit le maximum pour que les postes d’enseignants soient confiés à des instituteurs catholiques. Par la persuasion, toujours, il incitait les calvinistes, à entendre ses prédications. Il multipliait aussi les missions. Et nombreux étaient ceux qui étaient séduits par sa sainteté. “Je suis votre évêque, disait-il, votre vrai et légitime pasteur, qui suis prêt à donner ma vie pour vous, et à m’exposer à mille morts, ce que vos ministres ne feraient pas.” Sous son épiscopat, grâce également à l’action des prêtres mieux formés et armés dans leur travail d’évangélisation, une grande partie de la noblesse revint au catholicisme.

La Compagnie du Saint-Sacrement

Alain avait été rapidement attiré par la spiritualité d’une compagnie ultramontaine, antijanséniste, dévouée au Roi, qui mettait l’accent sur l’Eucharistie, et dont l’apostolat était consacré essentiellement à lutter contre les misères physiques et morales et contrer les hérésies. Dans la Compagnie du Saint-Sacrement, on comptait de nombreux amis de Mgr Alain, tels le Père Suffren, Monsieur Vincent, Mr Olier, l’évêque de Limoges, etc... Mgr Alain sachant que la réforme de toute société passe par la réforme de son élite, établit dès 1639, une filiale de la Compagnie du Saint Sacrement, à Cahors.

La Compagnie de la Passion

Conçue par Mr Olier, en 1646, cette Compagnie, composée de personnes de qualité, avait pour but d’honorer les mystères de la Passion et de travailler à la sanctification personnelle de ses membres. Dévots à Notre-Dame, et placés sous la protection de Saint Michel, ses membres s’efforçaient de faire revivre autour d’eux l’esprit des premiers chrétiens. Mgr Alain sut s’appuyer sur ces chrétiens fervents.

[1] Les chanoines réguliers de Saint Augustin observaient les trois vœux de religion, et pratiquaient la vie commune, partageaient la parole de Dieu et la prière liturgique. Ils avaient en outre, le souci de la vie apostolique.

[2] Les voyages de Mgr de Cahors, en dehors de son diocèse furent relativement peu nombreux, car, disait-il: “Hors la nécessité du service de Dieu, de son Église et celui du Roi, je ne crois pas devoir sortir de mon diocèse.”

SOURCE : http://voiemystique.free.fr/ecole_francaise_t2_24.htm

ALAIN DE SOLMINIHAC

1593-1659

Les grandes dates de sa vie

            Alain de Solminihac est né le 25 novembre 1593 au Château de Belet, en Dordogne, d’une famille catholique de petite noblesse rurale.

Il songeait à devenir Chevalier de Malte, vocation à laquelle le préparait son éducation, quand les circonstances firent de lui, à l’âge vingt ans, un abbé de Chancelade, Abbaye de Chanoines Réguliers de Saint Augustin toute proche de Périgueux (5 septembre 1614). Les bâtiments étaient en ruine.La Communautése trouvait  réduite à trois religieux. Alain vit, dans cette désignation, un signe de Dieu, se consacra à Lui entièrement et décida de réformer cette Maison.La Franceconnaissait alors un renouveau religieux avec l’éclosion de l’école française de spiritualité dans le sillage du concile de Trente.

Afin de se préparer à cette tache, Alain prit l’habit religieux, s’exerça à l’oraison mentale et fit sa profession le 28 juillet 1616. Il devint prêtre le 22 septembre 1618.

Après son ordination, il partit pour Paris afin d’y compléter sa formation intellectuelle et spirituelle et pour enquêter sur la manière dont s’opérait la réforme des Chanoines Réguliers, sous la direction du Cardinal de La Rochefoucauld et du Père Charles Faure. Il resta quatre ans à Paris, suivant les cours de la Sorbonne où il subit l’influence d’André Duval. Il fréquenta les milieux spirituels : il put voir notamment, à plusieurs reprises, Saint François de Sales lors du séjour que fit celui-ci dans la capitale en 1619. Il fréquenta aussi le Cardinal de la Rochefoucauld et Charles Faure. Enfin il fit les Grands Exercices Spirituels de Saint Ignace sous la direction du jésuite Antoine Le Gaudiery, célèbre pour son talent à diriger les âmes. Il suivit, jusqu’à la mort, les résolutions qu’il prit durant cette retraite. En octobre 1622, il était de retour à Chancelade.

Pour comprendre Alain de Solminihac, il faut toujours se reporter à ce séjour qui orienta définitivement son esprit. C’est là qu’il entra vraiment en relation avec les animateurs de la Réforme Catholique en France et qu’il reçut la formation qui lui manquait auparavant.

Dès son retour à Chancelade, il se préoccupa de recevoir la bénédiction abbatiale. Elle lui fut conférée le jour de l’Épiphanie par l’Évêque de Périgueux, Monseigneur de la Béraudière, qui l’avait déjà ordonné prêtre.

Il commença immédiatement son œuvre de réformateur. Il reconstruisit l’église et les bâtiments claustraux tels que nous les voyons aujourd’hui. Il reconstitua la communauté et en treize ans, il reçut cinquante nouveaux chanoines. Il leur donna une formation très profonde. Il leur donna  une direction spirituelle collationnée sous le nom d’Avis.

C’est un texte qui mérite de prendre place parmi les meilleurs ouvrages spirituels du temps. Il les orienta en même temps, vers l’apostolat, conformément à leur vocation. Chancelade assura désormais et l’office public et le service pastoral. En quelques années, l’Abbaye jouissait d’une réputation bien établie. Il en sera ainsi jusqu’à la Révolution.Le succès d’Alain de Solminihac fut impressionnant et lui valut une réputation étendue. Si la réforme française des Chanoines Réguliers avait tourné autrement, l’Abbé de Chancelade aurait pu se trouver placé à la tête d’une vaste Congrégation de Chanoines Réguliers répandue à partir de Chancelade dans le sud et l’ouest du royaume.

Cette réputation attira très vite sur lui l’attention du roi Louis XIII, du Cardinal de Richelieu et du Pape Urbain VIII. Comme il fallait, à tout prix, trouver des évêques en un temps où la réforme de l’Église était à l’ordre du jour, on pensa à lui. On songea d’abord à lui confier Lavaur qu’il refusa, souhaitant se consacrer au développement de la réforme de Chancelade. Il ne put se dérober quand il fut prévenu de sa nomination à Cahors. C’était alors un des évêchés les plus importants de France. Il était dans une triste situation et il fallait, pour le reprendre en mains, un homme doué de beaucoup d’énergie. En acceptant cette charge il mit une seule condition : pouvoir conserver l’Abbatiat de Chancelade afin d’y implanter plus solidement la réforme, déjà étendue aux Abbayes de Sablonceaux, près de Saintes, de la Couronne, près d’Angoulême et au prieuré Saint-Gérald à Limoges. Malgré les difficultés, il conserva sa charge d’Abbé  jusqu’à l’élection de son successeur, Jean Garat, qui entra en fonction en 1658.

En attendant de recevoir les bulles pontificales, Alain de Solminihac envisagea l’ensemble de ses nouveaux devoirs dans le Pontificat. Il vit les traités concernant l’évêque, qui étaient nombreux. Il étudia les décrets du concile de Trente. Il s’imprégna de la vie de  saint Charles Borromée et des actes de l’Église de Milan. Il lut aussi les annales de Baronius et chercha à voir comment agissaient les évêques de l’Église primitive. Enfin, il reprit l’enseignement de saint Augustin sur la vie commune des clercs et organisa sa maison épiscopale en conséquence. De cette étude de plusieurs mois, complétée par des conversations et des correspondances avec des évêques très estimés, sortit un plan de vie épiscopale très précis : vie commune de l’évêque avec un groupe de Chanoines Réguliers, spiritualité puisée aux sources des premiers siècles chrétiens ; application du concile de Trente et implantation, à Cahors, des institutions milanaises. C’étaient là les idées des grands réformateurs qu’il avait rencontrés à Paris.

Alain de Solminihac était tout à cette préparation quand il reçut ses bulles. Dans l’ancienne France, le sacre des évêques avait lieu généralement à Paris. Il suivit la coutume. Il fit une retraite d’un mois chez les Chartreux. La cérémonie se déroula le 27 septembre 1637. Elle eut lieu en l’église de l’Abbaye des Chanoines Réguliers de Sainte Geneviève. L’ordination épiscopale lui fut conféré par l’Archevêque de Toulouse, Charles de Montchal, assisté des évêques de Senlis : Nicolas Sanguin, et de Meaux : Dominique Séguier. La cérémonie terminée, il se retira encore à la Chartreuse, puis à l’Abbaye de Chancelade.

Il acheva de mettre la main aux derniers préparatifs de son entrée dans le diocèse qu’il avait  mission de gouverner et prit ses dispositions pour la direction de l’Abbaye de Chancelade. Il arriva en Quercy début février 1638 et s’installa au Château de Mercuès, résidence des évêques de Cahors. La situation du diocèse était difficile. Il commença son œuvre en convoquant un synode qui eut lieu le 21 avril, suivi d’une série régulière jusqu’à sa mort.

Le synode achevé et les premiers règlements adoptés, il commença sa visite pastorale. Celle-ci ne devait finir qu’avec sa vie. Il lança aussi des missions paroissiales ; organisa un Séminaire qu’il confia aux Lazaristes de saint Vincent de Paul, son ami ; il réorganisa les structures diocésaines ; suscita des conférences ecclésiastiques ; mit sur pied des œuvres de charité ; encouragea la dévotion au Saint Sacrement ; poussa à la piété mariale en manifestant son attachement pour Rocamadour ; fonda des hôpitaux et des orphelinats ; soutint l’instruction populaire. En même temps, il tint tête à toutes les oppositions, se montrant- en toute circonstances-  homme de courage. On le vit bien dans la manière avec laquelle il lutta contre les duels, un des fléaux du Quercy. On le vit aussi dans la manière dont il se comporta durant les troubles de la Fronde comme devant la révolte d’une partie de son clergé. Il fut aussi homme de fermeté quand il dut prendre parti devant les problèmes doctrinaux de son temps, en étroite union avec le Saint siège : gallicanisme, jansénisme, morale relâchée et surtout lutte contre les protestants qui fut l’un des axes  majeurs de son action.

Le sommet de cette action apostolique fut atteint lors du Jubilé accordé par le Pape Alexandre VII de 1657 à 1658.

Épuisé par son activité et par ses austérités, il mourut au Château de Mercuès le 31 décembre 1659. Il fut inhumé dans l’église des Chanoines Réguliers de Cahors.

Cette mort fut un deuil public. La réputation de l’évêque se répandit. Il y eut de nombreux miracles et l’enthousiasme populaire fut tel qu’on envisagea de proclamer Alain bienheureux.

Dès 1661, l’évêque de Cahors, Nicolas de Sevin, entreprit les premières démarches. Le procès rencontra des difficultés inhérentes aux hommes et aux évènements.La Cause fut introduite par Pie VII le 6 août 1783 ; le 19 juin 1927, Pie XI signa le décret sur l’héroïcité des vertus et, le 13 juillet 1979, Jean-Paul II reconnut un miracle accompli à Cahors en 1661 concernant la petite Marie Ladoux, âgée de cinq ans.

Le 4 octobre 1981, le pape Jean-Paul II proclama Alain de Solminihac bienheureux, honneur attribué l’année précédente à son contemporain, François de Laval-Montigny, premier évêque de Québec. Cette béatification a mis en lumière la personnalité et la sainteté d’un évêque qualifié de « Borromée français » qui contribua à la réforme de l’Ordre Canonial et à la remise en ordre du diocèse de Cahors, dans l’application du concile de trente.

Sa dimension spirituelle lui permit de jouer un rôle majeur dans l’église de son temps qu’il contribua à renouveler de concert avec son ami Vincent de Paul.

SOURCE : http://www.abbaye-chancelade.com/le-prieure-de-chancelade-saint-astier/le-bienheureux-alain-de-solminihac

Bibliotheca Victorina (BV 21)

P. Petot

Alain de Solminihac (1593-1659), prélat réformateur. De l'abbaye de Chancelade à l'évêché de Cahors

2 vol., 1091 p., 15 b/w ill., 160 x 245 mm, 2009

ISBN: 978-2-503-53278-3

Abbé de Chancelade en Périgord et évêque de Cahors, Alain de Solminihac (1593-1659) est une figure marquante du mouvement de réforme pastorale de l’époque baroque.

Formé à Paris, il entreprend en 1623 le relèvement spirituel et matériel de son abbaye de Chancelade qui devient, en moins d’une décennie, un centre à partir duquel la réforme canoniale s’étend à la Saintonge, au Limousin et à l’Angoumois. Cette extension se heurte à la volonté du cardinal de La Rochefoucauld et de Charles Faure qui transforment la congrégation de Sainte-Geneviève en une congrégation de France destinée à regrouper dans une organisation centralisée toutes les branches de l’ordre canonial. Au terme d’un long conflit, dont les étapes sont ici reconstituées, la réforme de Chancelade n’échappe à l’absorption qu’au prix de l’abandon de son expansion.

La carrière de l’abbé de Chancelade connaît un tournant majeur avec sa nomination à l’évêché de Cahors en 1636. Religieux devenu évêque, il transpose son idéal de perfection chrétienne dans l’état épiscopal et entreprend la réforme de son diocèse selon le modèle tridentin et l’exemple de Charles Borromée : reconstitution du patrimoine épiscopal, statuts synodaux, mise en place de vicaires forains, visites pastorales, missions prêchées par les chanoines réguliers qu’il a amenés avec lui de Chancelade, fondation d’un séminaire confié aux prêtres de la Mission. Cette ferme action réformatrice s’est durablement heurtée à une opposition cléricale organisée.

Son rôle déborde largement son abbaye et son diocèse. Comte de Cahors et baron de Quercy, Solminihac appuie de son autorité temporelle le pouvoir royal durant la Fronde. Influent dans l’Église de France, étroitement lié à Vincent de Paul, membre de la Compagnie du Saint-Sacrement, il joue un rôle important dans les affaires du temps, qu’il s’agisse de défendre les prérogatives du Saint-Siège, de condamner l’Augustinus ou d’obtenir la nomination d’évêques conformes à son idéal tridentin.

 Ancien élève de l’École normale supérieure, agrégé de l’Université et docteur en histoire, Patrick Petot est professeur de classes préparatoires à Périgueux. Il s’est spécialisé dans la recherche en histoire religieuse et dans l’étude comparée des religions. 

Review

"L'ensemble de la moisson documentaire est riche... une étude sobre et nuancée qui saisit bien l'envergure d'un homme original, autoritaire et décidé, déjà assez connu, mais en vérité mal connu." (J. Bergin, dans Bibliothèque de l'École des Chartes, 168, 2010, p. 259)

"Un travail volumineux pour un homme d'exception et représentatif de la réforme catholique tridentine (...). (...) L'A. dépasse la simple biographie pour s'attacher à inscrire la vie d'Alain de Solminihac dans son contexte familial, régional, religieux et politique." (Daniel-Odon Hurel, dans: Revue Mabillon, n.s. t. 22 (t. 83), 2011, p. 406-408)

SOURCE : http://www.brepols.net/Pages/ShowProduct.aspx?prod_id=IS-9782503532783-1

Cahors : 400 ans de l’ordination du bienheureux Alain de Solminihac

Par Francois Dupas  Il y a 5 ans

Le diocèse de Cahors a célébré samedi 22 et dimanche 23 septembre 2018 les 400 ans de l’ordination d’Alain de Solminihac, évêque de Cahors au XVIIe siècle. Témoignage de Monseigneur Laurent Camiade, évêque de Cahors.

400 ans jour pour jour, que le bienheureux Alain de Solminihac a été ordonné prêtre. Ce jeune périgourdin de famille noble n’a pas imaginé devenir prêtre quand, quatre ans auparavant, son oncle Arnaud l’interpelle pour lui succéder comme abbé de Chancelade. Alain répond au delà de ce que son oncle espérait. Il accueille cette proposition comme un appel de Dieu, comme une « vocation » que, selon ses propres mots, il « chérit plus que tout au monde ».

L’abbaye de Chancelade est alors en ruines et quasiment vide. Alain, simplement par sa prière et la purification de son intention apostolique en vue de la seule Gloire de Dieu, relancera les vocations. Entre 1630 et 1636, plus de 50 jeunes religieux font leurs vœux à l’abbaye, dont les murs sont relevés. Alain chérit sa vocation sacerdotale, mais celle-ci doit se déployer autrement quand le roi le fait nommer évêque de Cahors. Alain refuse plusieurs fois, car il fuit les honneurs. Mais Louis XIII, impressionné par son humilité, insiste. Alain doit bien finir par acquiescer. Alain est comme cet l’homme de l’évangile que son père appelle à travailler à sa vigne, qui refuse, mais, s’étant repenti, finit par y aller (cf. Mt 21,29).

Quelques jours avant le début du synode romain sur « les jeunes, la foi et le discernement des vocations », nous portons cette grande intention : que tous les jeunes du monde ouvrent leur cœur au désir de donner leur vie, et que l’Église sache les accompagner et discerner la volonté de Dieu.

Plusieurs évêques, pères-abbés, supérieurs religieux, prêtres, religieux,  religieuses et de nombreux fidèles seront réunis pour fêter ce jubilé des 400 ans d’ordination du bienheureux Alain et, en s’appuyant sur son intercession, pour prier pour les vocations dans l’Église, plus spécialement les vocations de prêtres, diacres, religieux, religieuses et consacrés. C’est un enjeu spirituel pour toute l’Église.

Monseigneur Laurent Camiade, évêque de Cahors

SOURCE : https://infocatho.fr/cahors-400-ans-de-lordination-du-bienheureux-alain-de-solminihac/

FLEURS D'ORAISON - Pensées du bienheureux Alain de Solminihac

Les lumières qui nous viennent de Dieu nous donnent un grand courage car elles nous font découvrir nos défauts ; pas de confusion qui nous abatte, mais une humilité courageuse. Les lumières du diable font l'inverse.

Il faut toujours plus considérer les actions de Jésus que ses paroles, car on peut expliquer ces dernières dans des sens différents, mais les actions, on ne peut les contredire, il faut seulement les imiter.

Rien de si nécessaire pour acquérir de la vertu que d'avoir un grand courage. Et si l'on n'est pas courageux ? Le moyen de le devenir est de ne pas se fier à ses propres forces mais entièrement à Dieu.

Le moyen d'être bientôt parfaits est de s'adonner continuellement à la méditation de la vie de notre bon Maître, et d'avoir toujours devant les yeux deux livres : celui de sa vie, et celui de la nôtre.

Lorsque les âmes qui aiment vraiment Dieu trouvent une occasion difficile, dans laquelle il faut souffrir grandement ou être humilié, c'est alors qu'elles peuvent témoigner à Dieu l'amour qu'elles lui portent.

Ce n'est pas la grandeur des actions qui doit faire les grands saints, comme de convertir un royaume ou jeûner toute sa vie, mais les petites et ordinaires, faites avec un grand amour et désir de plaire à Dieu.

L'homme religieux est toujours net, pur, ouvert, sans duplicité. S'il doit parler, il a sur la langue ce qu'il a dans le coeur.  La duplicité est un poison de la charité fraternelle, et renverse l'ordre de Dieu.

Lorsqu'on doit combattre plusieurs et diverses imperfections, il ne faut pas s'attacher à ôter l'une, puis l'autre : on n'en viendrait pas à bout. Il faut s'attaquer à la source d'où viennent ces imperfections.

On ne peut manquer d'être toujours joyeux, si on ne cherche que la volonté de Dieu, purement, dans toutes choses et événements. La tristesse ne va pas avec cet unique désir de Dieu.

Prier n'est pas moins nécessaire que de respirer et ce serait grande  cruauté de m'en priver comme d'ôter l'eau de la bouche d'un homme assoiffé. Les vrais amants ne doivent pas perdre de vue leur Bien-Aimé.

Faites bien et laissé dire. La médisance ne nuit pas à ceux qui ne la méritent pas. Quelles mauvaises paroles n'a-t-on pas dites de moi : ma soutane n'en est ni moins blanche ni plus déchirée.

Buste d'Alain de Solminihac. Bronze. Sculpture de Délie Duparc.


Blessed Alan de Solminihac

Also known as

Alain de Solminihac

Alamus de Solminihac

Alan av Solminihac

Alan of Solminihac

Alanus av Solminihac

Memorial

31 December

3 January (Augustinians)

Profile

Born to a noble, pious and patriotic family, Alan wanted to join the Knights of Malta, to serve God while in the military. Instead, however, he became an Augustinian Regular at Chancelade Abbey, Périgueux, France at age twenty. Superior of the abbey in 1623. He worked to restore order and piety to his men, and was so successful that the reforms spread to other local houses.

Bishop of CahorsFrance for 23 years from 1636 until his death. There he continued his reforms of the religious houses, and evangelization of his parishioners. Noted for his face-to-face meetings with the laity, Alan visited each of his 800 parishes at least nine times during his espicopate. He held a synod, episcopal council, founded a seminary, sponsored home missions and charities, brought back traditional devotions, and promoted adoration of the Eucharist. Attended the Council of Trent, and followed the lead of Saint Charles Borromeo in enforcing the Council‘s decrees in his home diocese.

Born

25 November 1593 in the family castle at Belet, Dordogne, France

Died

31 December 1659 at Mercues, Lot, France of natural causes

Venerated

19 June 1927 by Pope Pius XI (decree of heroic virtues)

Beatified

4 October 1981 by Pope John Paul II

Readings

Faith and Valor! – Blessed Alan’s motto

SOURCE : http://catholicsaints.info/blessed-alan-de-solminihac/

AUGUSTINIANS OSASAINT OF THE DAY

Saint of the Day – 31 December – Blessed Alain de Solminihac OSA (1593-1659)

Posted on December 31, 2019

Saint of the Day – 31 December – Blessed Alain de Solminihac OSA (1593-1659) Bishop of Cahors from 1636 until his death, religious of the Order of the Canons Regular of Saint Augustine of Chancelade in Périgueux (now the Confederation of St Augustine).    Blessed Alain was Abbot, Reformer, Marian devotee most especially to Our Lady of Rocamadour, Apostle of the Holy Eucharist especially by his promotion of Adoration, he was also a member of the Compagnie du Saint-Sacrement.   Born on 25 November 1593 in the family castle at Belet, Dordogne, France and died on 31 December 1659, aged 66, at Mercues, Lot, France of natural causes.   Patronage – theDiocese of Cahors.

Alain was born into an aristocratic family in castle Belet near Perigueux in France.

He wanted to become a member of the Knights of Malta in order to serve God but felt a strong call to the Priesthood and to the religious life so joined the Canons Regular of Saint Augustine of Chancelade in 1613 as a postulant.  The completion of his theological studies soon saw him Ordained to the Priesthood on 22 September 1618.  While still a young man he became the Abbot of Chancelade, which had fallen into disrepair as a result of the turmoil of the times.   He strove with great effort and effect to reform his brothers in the Congregation of the Canons Regular of Chancelade.

In 1636 he became Bishop of Cahors.   He was as a zealous shepherd of the flock with which he was entrusted.   As Bishop he visited each of his 800 parishes at least nine times during the course of his episcopate and he held an episcopal consecration on one occasion.

His great devotion to the Holy Eucharist prompted him to promote Eucharistic Adoration as well as restoring a many pastoral devotions within his Diocese.

He attended the Council of Trent and followed the lead of Saint Charles Borromeo in enforcing it’s decrees in his diocese.   During this time, he met Saint Francis de Sales during Lent in 1619 and the two became friends and had many more meetings following this.   Another friendship was his close relationship with Saint Vincent de Paul.

His reform work not only blessed his Diocese but influenced other parts of France.

Moreover, he remained always faithful to the Holy See.   Misconceptions, which surrounded him, were resolved in his favour.   His convincing love of neighbour made him a brilliant light of faith in 17th Century France.   After a long, zealous, faithful and strenuous life he died on 31 December 1659.

He was declared a Servant of God after Pope Pius VI opened his cause for sainthood on 6 August 1783 and Pope Pius XI declared him to be Venerable on 19 June 1927.   St Pope John Paul II Beatified him on 4 October 1981.   The miracle required for his Beatification involved the cure of Marie Ledoux on 29 June 1661 in France.

Author: AnaStpaul

Passionate Catholic. Being a Catholic is a way of life - a love affair "Religion must be like the air we breathe..."- St John Bosco Prayer is what the world needs combined with the example of our lives which testify to the Light of Christ. This site, which is now using the Traditional Calendar, will mainly concentrate on Daily Prayers, Novenas and the Memorials and Feast Days of our friends in Heaven, the Saints who went before us and the great blessings the Church provides in our Catholic Monthly Devotions. This Site is placed under the Patronage of my many favourite Saints and especially, St Paul. "For the Saints are sent to us by God as so many sermons. We do not use them, it is they who move us and lead us, to where we had not expected to go.” Charles Cardinal Journet (1891-1975) This site adheres to the Catholic Church and all her teachings. PLEASE ADVISE ME OF ANY GLARING TYPOS etc - In June 2021 I lost 95% sight in my left eye and sometimes miss errors. Thank you and I pray all those who visit here will be abundantly blessed. Pax et bonum! VIEW ALL POSTS

SOURCE : https://anastpaul.com/author/anastpaul/

Saint Vincent’s Reading List LVII: Blessed Alain de Solminihac

ON SEPTEMBER 29, 2014 BY EDWARD R. UDOVIC CM

La Vie de Monseigneur Alain de Solminihac, Evesque Baron, et Comte de Caors, et Abbe Regulier de Chancellade, by Léonard Chastentet. Caors: Jean Bonnet, 1663.
Call number: SpC. 282.092 S688Yc1663

The reform of the French Church had many aspects that attracted the attention and activities of Vincent de Paul. Included among these were the reforms of the episcopacy and the priesthood. Eventually, Vincent’s commitment to the appointment of worthy bishops would lead him to membership in the famous Council of Conscience under the regency of Anne of Austria. His interest in the reform of the priesthood would lead him to be an early French proponent of the establishment of Tridentine-style diocesan seminaries. The creation of these diocesan seminaries were among the signal accomplishments of a new generation of French reform bishops including Blessed Alain de Solminihac (1593-1659, beatified 1981). Solminihac served as the Bishop of Cahors from 1636 until 1659.

Solminihac, who has been called the “Saint Charles Borromeo of France,”1  began his ecclesiastical career as the reforming abbot of the Abbey of Chancelade—a title he inherited from his uncle. Ordained in 1618, he undertook four years of advanced theological studies in Paris. While in Paris he also moved in the circles of the spiritual elite, meeting Francis de Sales among others. He acquired a fierce devotion to doing God’s will in imitation of Christ, as well as an equally fierce, austere, commanding, and ascetical personality.

Certainly Solminihac’s relationship with Vincent de Paul long pre-dated the first surviving letter between the two in 1633. In this letter Vincent notes, “God knows well that you are one of the persons in the world in whom Our Lord has given me the most confidence.”2  Immediately upon his appointment to the See of Cahors, Solminihac began the reform of the diocese. The bishop knew that he wanted to found a seminary, but the Tridentine ideal had yet to have been tested in France by the actual establishment of a successful seminary. At this point, Solminihac turned to his old friend Vincent de Paul and the priests of the Congregation of the Mission. The bishop proved to be a difficult task-master as the first Lazarists founded the seminary in 1643. It was rare for Vincent de Paul to work with a bishop whom he did not respect and trust, and in cases where such a bishop was found, Vincent always treated the prelate with great respect and deference. He found that this approach enabled him with time to negotiate even the tensest areas of disagreement in service of a greater good.

Vincent’s eulogy of Solminihac is telling: “A great prelate of these times followed this same maxim,” (to do the more perfect thing like Saint Theresa, and to do all for the greater glory of God, like Saint Ignatius) “of animating all his actions and all his works with the intention of always seeking the greater good. It was the Bishop of Cahors, who always went after the more perfect thing and achieved it.”3

1  Perez-Flores, Miguel, C.M. (1985) “Old Saint and New Beatus: Saint Vincent de Paul and Blessed Alain de Solminihac,” Vincentian Heritage Journal: Vol. 6: Iss 1, Article 5.
2  Vincent de Paul. Correspondence, Conferences, Documents. Vol. 1. Brooklyn, NY: New City, 1985, p. 210.
3  Vincent de Paul. Correspondence, Conferences, Documents. Vol. 12. Brooklyn, NY: New City, 2010, p. 123.

St. Vincent’s Reading List is a recurring blog series exploring texts known to have been read and recommended by Saint Vincent de Paul, those which can be presumed to have been read by him, and works published during his lifetime (1581-1660) illustrating his world. All materials discussed are held by DePaul University’s John T. Richardson Library. The entire series may be viewed here.

SOURCE : https://news.library.depaul.press/full-text/2014/09/29/saint-vincents-reading-list-lvii-blessed-alain-de-solminihac/

Abbaye de Chancelade

Abbaye de Chancelade


Beato Alano di Solminihac Vescovo

31 dicembre

Belet (Francia), 25 novembre 1593 – Mercués (Francia), 31 dicembre 1659

Il beato francese Alano di Solminihac, canonico regolare di Sant’Agostino e vescovo di Cahors, tentò in ogni modo di cambiare i costumi del popolo con le visite pastorali e con ammirevole costanza si sforzò di rinnovare la Chiesa a lui affidata. Giovanni Paolo II lo beatificò il 4 ottobre 1981.

Etimologia: Alano = dal latino Alanus, dal nome della popolazione degli alani

Martirologio Romano: Nella rocca di Mercuès presso Cahors nella Francia meridionale, transito del beato Alano di Solminihac, vescovo di Cahors, che con le sue visite pastorali cercò di promuovere la correzione dei costumi del popolo e di rinnovare in ogni modo con vero zelo apostolico la Chiesa a lui affidata.

Il 25 novembre 1593 da una nobile famiglia rurale della Francia meridionale nacque Alano di Solminihac, figlio di Giovanni e Margherita. La famiglia risiedeva a quel tempo presso il castello di Belet, nel circondario di Périgueux. In tale focolare, ove bruciava una profonda fede cristiana, Alano trascorse la sua giovinezza. Ad un certo punto della sua vita iniziò ad ipotizzare la sua consacrazione a Dio, da coniugare però con gli alti sentimenti cavallereschi che lo caratterizzavano, e meditando perciò di entrare a far parte dei Cavalieri di Malta. Ben presto comprese però che questa non sarebbe stata la sua vita.Suo zio Arnaldo di Solminihac, Canonico Regolare di Sant'Agostino, era abate del monastero di Chancelade. Fondato come casa autonoma nel 1128, esso aveva conosciuto un periodo di notevole fioritura. Più tardi però decadde e nel 1575, durante una delle varie guerre di religione, chiesa e monastero vennero distrutti dagli Ugonotti. Ai pochi religiosi superstiti non restò che ritirarsi nelle parrocchie dipendenti dall'abbazia. L'anziano zio Arnaldo pensò inoltre di ottenere un decreto regio atto a trasferire l'ufficio e la dignità abbaziali al nipote appena ventenne, che accettò con umiltà.

Fece dunque il suo ingresso nella decadente abbazia, che ospitava ormai appena tre canonici, il canto dell'Ufficio era cessato da tempo e la vita comune era stata di fatto disciolta. Dopo un anno di noviziato il 28 luglio 1616 Alano emise la professione religiosa. Divenuto un autentico canonico regolare, era solito dire ai suoi figli spirituali: “Nulla è difficile per colui che ama la sua vocazione”.

Alano studiò filosofia e teologia in particolare a Parigi, ove ebbe occasione di conoscere San Vincenzo de' Pauli ed altri grandi religiosi francesi del suo tempo. Determinanti per la sua vita si rivelarono i colloqui intercorsi con San Francesco di Sales, dai quali derivò una nuova chiamata, consistente nella vocazione alla santità. Da allora egli cominciò a tendere con energia e fedeltà a questo nuovo grande obbiettivo. Alano ricevette l'ordinazione presbiterale il 22 settembre 1618 e dopo altri quattro anni ricevette la benedizione abbaziale, possedendo ormai ogni requisito necessario per affrontare la grande impresa di una vita dedicata al suo ordine. Con tenacia si cimentò nella ricostruzione della chiesa e del monastero. La prima comunità sottoposta alla sua autorità era formata da tre novizi ed un sacerdote religioso. Riprese la vita comune e nella chiesa abbaziale riprese il canto dell'Ufficio corale.

Nel 1623 l'abate Alano pubblicò le Costituzioni, prescriventi un ritorno alla vita regolare austera: a mezzanotte il mattutino, un'ora quotidiana di meditazione ed il giuramento di non cercare né accettare benefici ecclesiastici in virtù del voto di povertà. Rivolse inoltre particolare attenzione alla formazione dei giovani religiosi, fungendo talvolta egli stesso da maestro dei novizi.

Nel giro di soli cinque anni a Chancelade si riprese a vivere autenticamente la vita religiosa e proprio di qui partì la spinta per la riforma di altre case dell'Ordine e per novelle fondazioni. Alano ricevette la nomina a “visitatore” non solo di monasteri appartenenti al suo ordine, ma anche di altri istituti religiosi. Il fuoco da lui acceso a Chancelade fece dell'abbazia il centro di una congregazione nell'ambito dei Canonici Regolari. L'eredità spirituale del grande abate si conservò anche dopo la sua morte e solo la rivoluzione francese riuscì fatalmente a distruggere il tutto.Alano si oppose fermamente al progetto di fusione con la cosiddetta “Congregazione di Francia”, dalle osservanze più miti, ed in tal senso ottenne in parte anche l'appoggio della Santa Sede.Nel frattempo l'attività e la fama del grande abate erano ormai ben note anche alla corte parigina. Ripetutamente gli venne offerto il governo di una diocesi, ma egli declinò sempre l'invito, preferendo dedicarsi al completamento della riforma della sua Congregazione ed a collaborare per il rinnovamento dell'intero ordine canonicale. Nel 1636 fu infine nominato vescovo di Cahors, tra Périgueux e Tolosa, e questa volta non poté sottrarsi all'impegno e dovette suo malgrado accettare. Il cardinale Richelieu prese provvidenzialmente Chancelade sotto la sua personale protezione, garantendone la stabilità della riforma, ed Alano si riservò di poter continuare a svolgere le funzioni di abate sino a quando avesse ritenuto necessario.Il vescovo neoeletto dedicò parecchio tempo alla preparazione per l'alto ministero pastorale affidatogli. Restò comunque religioso e continuò a vestire l'abito bianco dei Canonici Regolari, irrigidendo invece lo stile di vita austero e mortificato. Studiò diligentemente i decreti del Concilio di Trento relativi alle incombenze dei vescovi e si prefissò di seguire il metodo pastorale di San Carlo Borromeo. Decidette di governare la sua diocesi da santo ed a tal scopo compose per sé un regolamento di vita assai dettagliato. Come Sant'Agostino, anch'egli volle “avere con sé, nell'episcopio, un monastero di chierici”, richiedendo perciò da Chancelade otto Canonici Regolari che riunì in comunità dotata di un ordinamento claustrale. La diocesi di Cahors, a quel tempo molto più estesa, si trovava purtroppo in condizioni miserevoli, in quanto lunghe guerre di religione avevano contribuito all'aggravarsi della decadenza spirituale e morale dei fedeli. Molti sacerdoti non erano realmente spinti da ideali cristiani e le eresie pullulavano. Alano delineò dunque urgentemente un preciso programma di riforma, conforme allo spirito del concilio tridentino, organizzando sinodi diocesani e vigilando accuratamente sull'osservanza degli statuti emanati, volti a migliorare lo stile di vita del clero e ad estirpare le superstizioni. Insistette inoltre sull'assistenza dei poveri e dei malati. Fu instancabile nelle visite pastorali, nonostante malattie, difficoltà di comunicazioni e tumulti politici, e visitò per ben nove volte le circa ottocento parrocchie della diocesi. Fondò il primo seminario diocesano, la cui direzione affidò ai Preti della Missione. Organizzò spesso missioni popolari, ricorrendo all'aiuto dei Canonici Regolari e di altri religiosi.Si dimostrò sempre fedele e profondo devoto della Sede Apostolica romana, vigilando attentamente sulla purezza della dottrina cattolica e dando il suo personale contributo per la condanna del Giansenismo e del Lassismo.La carità non conobbe in lui limiti o barriere: si dedicò infatti agli appestati, agli altri malati ed agli orfani, promuovendo l'erezione di ospedali ed asili adeguati. I suoi contemporanei poterono contemplare in lui la luminosa immagine del buon pastore. Il periodo di tempo trascorso come abate di Chancelade ed il ventennio abbondante di episcopato, svolti tra fatiche e penitenze continue, lo debilitarono grandemente. Nel 1659 dovette interrompere una visita pastorale: il suo fisico non lo reggeva ormai più ed il cumulo di impegni che si era prefissato era vistosamente sproporzionato.

Alano di Solminihac morì tra il cordoglio generale il 31 dicembre e venne sepolto nella chiesa del priorato dei Canonici Regolari di Cahors. Solo in seguito le sue reliquie vennero traslate nella cattedrale cittadina.

La causa di canonizzazione, introdotta il 6 agosto 1783, portò il 19 giugno 1927 all'attribuzione del titolo di “venerabile” ed 4 ottobre 1981 alla beatificazione da parte del papa Giovanni Paolo II, che lo iscrisse così nel Martyrologium Romanum nell'anniversario della nascita al Cielo.

Autore: Fabio Arduino

SOURCE : http://www.santiebeati.it/dettaglio/92533

SANTA MESSA PER LA PROCLAMAZIONE DI CINQUE NUOVI BEATI

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 4 ottobre 1981


Fratelli e sorelle carissimi!

1. Oggi è un giorno di sincera esultanza e di fervida letizia per il Popolo di Dio! La Chiesa tutta si inginocchia per venerare tre suoi figli e due sue figlie, che nella loro esistenza terrena in maniera eroica hanno realizzato, giorno dopo giorno, le esigenze del messaggio del Vangelo. La Chiesa, santificata dal sangue del suo Sposo, il Cristo, è diventata Madre di santi e di sante! E in questo giorno ha l’intima fierezza di presentare al mondo contemporaneo cinque nuovi beati, testimoni della sua perenne, inesauribile, giovanile vitalità, e portatori di quel messaggio di gioia, che e tipico dell’annuncio del Vangelo.

E nel segno di questa gioia cristiana noi ascolteremo il messaggio, che i nuovi cinque beati oggi ci consegnano, perché lo sappiamo fare nostro, realizzandolo nella nostra vita, e lo trasmettiamo, così, nella sua genuinità alla odierna società, che é in continua ricerca dell’Assoluto.


2. Alain de Solminihac, nato da un’antica famiglia di Perigord, il cui motto era “Fede e Coraggio”, aveva da principio pensato di unirsi ai Cavalieri di Malta. Ma nel 1613, all’età di vent’anni, decide di entrare nell’Abbazia di Chancelade, nei dintorni di Perigueux, tenuta dai Canonici regolari di sant’Agostino. Dopo la sua ordinazione, si dedica agli studi di teologia e di spiritualità a Parigi. Nel giorno dell’Epifania del 1623, riceve la benedizione abbaziale ed intraprende coraggiosamente la restaurazione materiale e spirituale della sua Abbazia. È l’epoca della applicazione del Concilio di Trento. Questo esempio ha una vasta eco nella regione e anche ben oltre. Ora, vorrei sottolineare come una simile personalità capace di spronare alla vita evangelica possa illuminare singolarmente gli Istituti religiosi dei nostri tempi. Inevitabilmente condizionati dai mutamenti socio-culturali attuali, essi devono raccogliere la sfida del venir meno, al fine di un rinnovamento, della fedeltà alla “via stretta” insegnata da Gesù stesso e sempre caratterizzata dalla scelta cosciente e permanente della povertà, della castità e dell’obbedienza consacrate. L’esperienza di Alain di Solminihac ricorda opportunamente a tutti i religiosi il valore e la fecondità della loro radicale oblazione, sostenuta dall’osservanza della Regola dalla mortificazione, dalla vita comunitaria. Prego il nuovo beato di comunicare loro il suo fervore ascetico.

Nel 1636, la fama dello zelo e della santità dell’Abate di Chancelade fece sì che egli fosse nominato Vescovo di Cahors da Papa Urbano VIII. Fervente ammiratore della pastorale conciliare del santo Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, Monsignor di Solminihac prese anch’egli la decisione di conferire alla sua diocesi le caratteristiche e la vitalità tanto raccomandate dal Concilio di Trento. I suoi ventidue anni di servizio episcopale nella regione di Quercy furono densi di una incessante serie di attività importanti ed efficaci: la convocazione di un Sinodo diocesano, la costituzione di un consiglio episcopale settimanale, la visita sistematica alle ottocento parrocchie della diocesi, che egli rivide nove volte ciascuna, la creazione di un Seminario affidato ai Lazzaristi, la moltiplicazione delle missioni parrocchiali, lo sviluppo del culto eucaristico in un periodo in cui il giansenismo cominciava a riprendersi, la promozione o la fondazione di opere caritative per gli anziani e gli orfani, per i malati e le vittime della peste. Tre anni prima della sua morte, in occasione del Giubileo del 1656, predicò sia perché il suo popolo si convertisse, che perché fosse sensibilizzato alla missione particolare del Vescovo di Roma, garante della comunione tra le Chiese. In breve, un versetto tratto dal Salmo 69 riassume perfettamente la vita pastorale di questo Vescovo del diciassettesimo secolo: “Mi divora lo zelo per la tua casa”. La figura ammirevole di Alain di Solminihac merita pienamente di essere messa in luce dalla Chiesa che egli ha servito tanto ardentemente. Che i Vescovi di Francia e di tutti gli altri Paesi sappiano trovare nella vita del beato Alain di Solminihac il coraggio di compiere senza paura la loro funzione di evangelizzatori nel mondo contemporaneo!

Traduzione

2. Alain de Solminihac, issu d’une vieille famille du Périgord, dont la devise était “ Foi et Vaillance ”, avait d’abord songé aux Chevaliers de Malte. Mais en 1613, à l’âge de vingt ans, il décide d’entrer à l’Abbaye de Chancelade, proche de Périgueux et tenue par les Chanoines réguliers de Saint-Augustin. Après son ordination, il poursuit des études de théologie et de spiritualité à Paris. A l’Epiphanie de 1623, il reçoit la Bénédiction abbatiale et entreprend courageusement la restauration matérielle et spirituelle de son Abbaye. C’était l’époque de la mise en application du Concile de Trente. Cet exemple eut un grand retentissement dans la région et bien au-delà. Ici, je voudrais souligner qu’un tel entraîneur à la vie évangélique peut singulièrement éclairer les Instituts religieux de notre temps. Inévitablement touchés par les mutations socioculturelles actuelles, ils doivent relever le défi de l’affadissement ou même de la dilution par un renouveau de la fidélité à la “ voie étroite ” enseignée par Jésus lui-même et à jamais caractérisée par le choix conscient et permanent de la pauvreté, de la chasteté et de l’obéissance consacrées.

L’expérience d’Alain de Solminihac rappelle opportunément à tous les religieux la valeur et la fécondité de leur oblation radicale, soutenue par l’observance de la Règle, la mortification, la vie en communauté. Je prie le nouveau Bienheureux de leur communiquer sa ferveur ascétique.

En 1636, la réputation de zèle et de sainteté de l’Abbé de Chancelade le fit nommer à l’évêché de Cahors par le Pape Urbain VIII. Fervent admirateur de la pastorale conciliaire du saint Archevêque de Milan, Charles Borromée, Monseigneur de Solminihac prit lui aussi la décision de donner à son diocèse le visage et la vitalité tant souhaités par le Concile de Trente. Ses vingt-deux ans d’épiscopat dans le Quercy furent un déploiement incessant d’activités importantes et efficaces: convocation d’un synode diocésain, mise sur pied d’un conseil épiscopal hebdomadaire, visite systématique des huits cents paroisses du diocèse, qu’il reverra neuf fois chacune, création d’un séminaire confié aux Lazaristes, multiplication des missions paroissiales, développement du culte eucharistique en un temps où le jansénisme commençait à se répandre, promotion ou fondation d’œuvres caritatives pour les vieillards et les orphelins, pour les malades et les victimes de la peste.

Trois ans avant sa mort, il prêche lui-même le Jubilé de 1656, à la fois pour convertir son peuple et pour le sensibiliser à la mission particulière de l’Evêque de Rome, gardien de la communion entre les Eglises. Bref, un mot tiré du psaume 69 résumerait parfaitement la vie pastorale de cet Evêque du dix-septième siècle “ Le zèle de ta Maison me dévore ”. La remarquable figure d’Alain de Solminihac méritait bien d’être mise en lumière par l’Eglise qu’il a si ardemment servie. Puissent les évêques de France et de tous pays trouver dans la vie du Bienheureux Alain de Solminihac le courage d’évangéliser sans peur le monde contemporain!

3. Luigi Scrosoppi, di Udine, ordinato sacerdote nel 1827, si dà ad un instancabile apostolato, animato e spinto dalla carità di Cristo. Istituisce la “Casa delle Derelitte” o “Istituto della Provvidenza”, per la formazione umana e cristiana delle ragazze; apre la “Casa Provvedimento” per le ex alunne rimaste senza lavoro; dà inizio all’Opera per le Sordomute, e fonda le Suore della Provvidenza sotto la protezione di san Gaetano. Padre Luigi entra nella Congregazione dell’Oratorio e ne fa un dinamico centro di irradiazione di vita spirituale.
Nella sua vita, spesa totalmente per le anime, egli ha avuto tre grandi amori: Gesù; la Chiesa e il Papa; i “piccoli”.

Fin da giovanissimo sceglie il Cristo come Maestro e lo ama, contemplandolo povero e umile a Betlemme; lavoratore a Nazaret, sofferente e vittima nel Getsemani e sul Golgota; presente nell’Eucaristia. “Voglio essergli fedele – ha scritto – attaccato perfettamente a lui nel cammino del cielo e riuscire una sua copia”.

Il suo amore alla Chiesa si manifesta nella fedeltà completa alle leggi ecclesiastiche; nel suo apostolato, che non conosce pause o esitazioni; nella docile accettazione del Magistero.

Padre Scrosoppi ha speso letteralmente tutta la sua vita nell’esercizio della carità verso il prossimo, specialmente verso i più piccoli e i più abbandonati. Per i poveri distribuì i suoi notevoli beni patrimoniali. “I poveri e gli infermi sono i nostri padroni e rappresentano la persona stessa di Gesù Cristo”: sono parole sue; ma sono anche, e più, la sua vita.

A fondamento della sua molteplice attività pastorale e caritativa c’è una profonda interiorità; la sua giornata è una continua preghiera: meditazione, visite al Santissimo Sacramento, recita del Breviario, “Via Crucis” giornaliera, Rosario e, infine, lunga orazione notturna; dando in tal modo ai fedeli, ai sacerdoti e ai religiosi un luminoso ed efficace esempio di equilibrata sintesi fra vita contemplativa e vita attiva.

  4. Erminio Filippo Pampuri, decimo di undici figli, a 24 anni è medico condotto e a 30 anni entra nell’Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio (Fatebenefratelli). Solo tre anni dopo moriva.

È una figura straordinaria, vicina a noi nel tempo, ma più vicina ancora ai nostri problemi ed alla nostra sensibilità. Noi ammiriamo in Erminio Filippo, diventato nell’Ordine Fra Riccardo Pampuri, il giovane laico cristiano, impegnato a rendere testimonianza nell’ambiente studentesco, come membro attivo del Circolo Universitario “Severino Boezio” e socio della Conferenza di san Vincenzo de’ Paoli; il dinamico medico, animato da una intensa e concreta carità verso i malati e i poveri, nei quali scorge il volto del Cristo sofferente. Egli ha realizzato letteralmente le parole, scritte alla sorella suora, quando era medico condotto: “Prega affinché la superbia, l’egoismo e qualsiasi altra mala passione non abbiano ad impedirmi di vedere sempre Gesù sofferente nei miei malati, Lui curare, Lui confortare. Con questo pensiero sempre vivo nella mente, quanto soave e quanto fecondo dovrebbe apparirmi l’esercizio della mia professione!”.

Lo ammiriamo anche come religioso integerrimo di un benemerito Ordine, che, nello spirito del suo Fondatore san Giovanni di Dio, ha fatto della carità verso Dio e verso i fratelli infermi la propria missione specifica e il proprio carisma originario. “Voglio servirti, o mio Dio, per l’avvenire con perseveranza ed amore sommo: nei miei superiori, nei confratelli, nei malati tuoi prediletti: dammi la grazia di servirli come servirei Te”: così scriveva nei propositi in preparazione alla professione religiosa.

La vita breve, ma intensa, di Fra Riccardo Pampuri è uno sprone per tutto il Popolo di Dio, ma specialmente per i giovani, per i medici, per i religiosi.

Ai giovani contemporanei egli rivolge l’invito a vivere gioiosamente e coraggiosamente la fede cristiana; in continuo ascolto della Parola di Dio, in generosa coerenza con le esigenze del messaggio di Cristo, nella donazione verso i fratelli.

Ai medici, suoi colleghi, egli rivolge l’appello che svolgano con impegno la loro delicata arte animandola con gli ideali cristiani, umani, professionali, perché sia una autentica missione di servizio sociale, di carità fraterna, di vera promozione umana.

Ai religiosi ed alle religiose, specialmente a quelli e quelle che, nell’umiltà e nel nascondimento, realizzano la loro consacrazione fra le corsie degli ospedali e nelle case di cura, Fra Riccardo raccomanda di vivere lo spirito originario del loro Istituto, nell’amore di Dio e dei fratelli bisognosi.

5. Claudine Thévenet visse tutta la sua vita a Lione. La sua adolescenza fu sconvolta dalla rivoluzione francese che scosse violentemente la sua città natale. Una mattina, nel gennaio dell’anno 1794, questa giovinetta di 19 anni riconobbe i suoi due fratelli, Louis e François, in un gruppo di condannati a morte. Ella ebbe allora il coraggio di accompagnarli al luogo del loro supplizio e di raccogliere le loro ultime parole: “Glady, perdona loro, come noi perdoniamo!”. Questo avvenimento fu senza dubbio un elemento determinante della vocazione di Claudine, già tanto animata da sentimenti di compassione per le miserie accumulate dalla bufera rivoluzionaria. Ella sognava di divenire una messaggera della misericordia e del perdono di Dio in una società lacerata, e di dedicare la sua vita all’educazione dell’infanzia, soprattutto dei più poveri, il cui stato di abbandono sorpassava ogni immaginazione. Ecco perché, con il sostegno illuminato di Padre Coindre, Claudine fonda nel 1816 una Pia Associazione, che diventerà due anni più tardi la Congregazione di Gesù-Maria. Oggi, con grande gioia della Chiesa, le figlie di Madre Thévenet sono più di duemila, presenti in tutti i continenti e veramente animate del suo spirito. Scuole e collegi, ostelli per le giovani e per persone anziane, pastorale catechistica e familiare, dispensari e case di preghiera non hanno che uno scopo: far conoscere Gesù e Maria, nelle opere per la promozione sociale dei poveri.

A centocinquanta anni di distanza, la vita di questa fondatrice interpella sempre le sue figlie e interpella anche i cristiani. Non viviamo anche noi in una società troppo spesso tentata e sfigurata dalla violenza? Non dobbiamo anche noi lasciarci invadere dall’infinita misericordia di Dio, per portare il nostro coraggioso contributo a quella “civiltà dell’amore” di cui parla Paolo VI, la sola che sia degna dell’uomo? Claudine Thévenet si presenta a noi quale modello d’amore e di perdono: “Che la carità sia come la pupilla dei vostri occhi”, ci dice ancor oggi proprio come ella amava ripetere alle sue suore. “Siate disposte a soffrire tutto per gli altri e a non far soffrire alcuna persona”.

D’altra parte la nuova beata non continua ad essere un modello di vita evangelica e religiosa per coloro che si consacrano all’educazione della gioventù, nella Chiesa e secondo le sue direttive? Le intuizioni ed i metodi pedagogici di Claudine Thévenet sono sempre d’attualità: cioè una educazione piena di attenzioni materne, molto sollecita a preparare le giovani alla vita mediante l’acquisizione di una competenza professionale e l’avviamento progressivo alle loro future responsabilità di mogli e di madri, e soprattutto in modo profondamente cristiano, perché – diceva – “la peggiore sventura è vivere e morire senza conoscere Dio”.

Claudine, che ha fatto della sua vita religiosa un “inno di gloria” al Signore, ad imitazione della Vergine Maria che ella venerava profondamente, ricorda ai cristiani che vale la pena di offrire tutto a Dio. A coloro che il Signore invita a consacrarsi più particolarmente al suo servizio, ella conferma che bisogna saper “perdere la propria vita” (cf. Mt 10,39) perché altri possano amare e conoscere Dio; ella conferma inoltre mediante il suo esempio che la più bella riuscita nella vita è la santità.

Traduzione

5. Claudine Thévenet a vécu toute sa vie à Lyon. Son adolescence fut bouleversée par la révolution française qui secoua si violemment sa ville natale. Un matin de janvier 1794, cette jeune fille de 19 ans reconnaît ses deux frères, Louis et François, dans un cortège de condamnés à mort. Elle a lè courage de les accompagner jusqu’au lieu de leur supplice et dé recueillir leurs dernières paroles: “ Glady, pardonne, comme nous pardonnons! ”. Cet événement fut sans doute un élément déterminant de la vocation de Claudine déjà si compatissante aux misères accumulées par l’orage révolutionnaire. Elle songe à devenir une messagère de la miséricorde et du pardon de Dieu dans une société déchirée, et à donner sa vie à l’éducation des jeunes, surtout des plus pauvres, dont l’état d’abandon dépasse l’imagination. C’est pourquoi, avec le soutien éclairé du Père Coindre, Claudine fonde en 1816 une Pieuse Union, qui deviendra deux ans plus tard la Congrégation de Jésus-Marie. Aujourd’hui, pour la plus grande joie de l’Eglise, les Filles de Mère Thévenet sont plus de deux mille, présentes sur tous les continents et vivant vraiment de son esprit. Ecoles et collèges, foyers pour jeunes filles et pour personnes âgées, pastorale catéchétique et familiale, dispensaires et maisons de prière n’ont qu’un but: faire connaître Jésus et Marie, tout en œuvrant à la promotion sociale des pauvres.

A cent cinquante ans de distance, la vie de cette fondatrice interpelle toujours ses filles et interpelle aussi les chrétiens. Ne sommesnous pas nous-mêmes dans une société trop souvent tentée et défigurée par la violence? N’avons-nous pas à nous laisser envahir par la miséricorde infinie de Dieu, afin d’apporter notre courageuse contribution à cette “ civilisation de l’amour ” dont parlait Paul VI, la seule qui soit digne de l’homme? Claudine Thévenet se présente à nous comme un modèle d’amour et de pardon: “ Que la charité soit comme la prunelle de vos yeux ”, nous dit-elle encore maintenant comme elle aimait à le répéter à ses Sœurs. “ Soyez disposées à tout souffrir des autres et à ne rien faire souffrir à personne ”.

D’autre part, la nouvelle Bienheureuse ne demeure-t-elle pas un modèle de vie évangélique et religieuse pour ceux et celles qui se consacrent à l’éducation de la jeunesse, dans l’Eglise et selon ses directives? Les intuitions et les méthodes pédagogiques de Claudine Thévenet sont toujours d’actualité: à savoir, une éducation pleine d’attentions maternelles, très soucieuse de préparer les jeunes filles à la vie par l’acquisition d’une compétence professionnelle et l’initiation progressive à leurs: futures résponsabilités d’épouses et de mères, et par-dessus tout profondément chrétienne, car – disaitelle – “ il n’est pas de plus gránd malheur que de vivre et de mourir sans connaître Dieu ”.

Claudine, qui a fait de sa vie religieuse une “ hymne de gloire ” au Seigneur, à l’imitation de la Vierge Marie qu’elle vénérait profondément, rappelle aux chrétiens qu’il vaut la peine de tout miser sur Dieu. A ceux et celles que le Seigneur invite à se consacrer plus particulièrement à son service, elle confirme qu’il faut savoir “ perdre sa vie ” pour que d’autres puissent aimer et connaître Dieu; elle confirme aussi par son exemple que la plus belle réussite dans la vie, c’est la sainteté.

6. Maria Repetto, a 22 anni, entra a Genova nella Congregazione delle Suore di Nostra Signora del Rifugio, in Monte Calvario. Nelle numerose e gravi epidemie di colera che si abbattono sulla città, ella corre intrepida al capezzale dei malati. La fama della “monaca santa” cresce ogni giorno, e, quando assume l’ufficio di portinaia, ella continua a donare i tesori della sua alta spiritualità a quanti a lei accorrono per aiuto e consiglio.

Maria Repetto fin dalla giovinezza ha appreso e vissuto una grande verità, che ha trasmesso anche a noi: Gesù deve esser contemplato, amato e servito nei poveri, in tutti i momenti della nostra vita.

Essa dà tutto ciò che ha: i suoi risparmi, le sue cose, la sua parola, il suo tempo, il suo sorriso. “Servire i poveri di Gesù” era il programma del suo Istituto; programma che essa realizzò nei 50 anni di vita religiosa, servendo anzitutto Gesù, crescendo nella perfezione dell’amore, ricordando a sé stessa: “prima di tutto essere religiosa!”; e servendo i poveri, perché Cristo vive nei poveri.

San Francesco da Caporosso, chiamato dai genovesi “il padre santo”, mandava a lei, la “monaca santa” persone di ogni estrazione sociale, bisognose di aiuto e di consigli. L’umile Frate cercatore, canonizzato nel 1962, e l’umile suora portinaia, che oggi sale agli onori degli altari, furono nel secolo scorso, i due poli della vita religiosa di Genova. Maria Repetto era sempre lieta e serena e si rallegrava di tenere il cuore aperto, più della porta del convento, e di dare, dare sempre, dare tutto.

E questa gioia della sua donazione a Dio culminò nella sua morte: col sorriso sulle labbra, la beata pronunciò le sue ultime parole, che sono un inno di giubilo alla Madre di Dio: “Regina coeli, laetare, alleluia!”.

7. Carissimi!

Abbiamo iniziato questa riflessione nel segno della gioia cristiana; e nel segno del gaudio pasquale, frutto della Croce di Gesù, noi continuiamo questa solenne celebrazione, confortati dai mirabili esempi di questi novelli beati, che ci indicano il cammino, che anche noi dobbiamo percorrere nel nostro pellegrinaggio terreno: il cammino dell’amore verso Dio e verso i fratelli, specialmente quelli sofferenti nello spirito e nel corpo.

I novelli beati hanno confidato nel Signore, lo hanno invocato, forti della sua clemenza e misericordia; hanno seguito le sue vie; hanno cercato di piacergli; si sono gettati nelle sue braccia (cf. Sir 2,7s). In cima ai loro pensieri, al di sopra di tutto hanno posto la carità, convinti che essa è “il vincolo della perfezione” (cf. Col 3,14). Facendo proprio l’invito di Cristo, hanno venduto tutto ciò che avevano e lo hanno dato in elemosina; si son fatti delle borse, che non invecchiano, e hanno ottenuto un tesoro inesauribile nei cieli (cf. Lc 12,32s), come dice il brano evangelico, che è stato letto poco fa.

Mentre ci chiniamo riverenti di fronte ad essi, noi ci affidiamo alla loro potente intercessione:

O Beato Alain de Solminihac,

O Beato Luigi Scrosoppi,

O Beato Riccardo Pampuri,

O Beata Claudine Thévenet,

O Beata Maria Repetto,

pregate la Trinità Santissima per le vostre Patrie terrene, perché vivano in serena concordia! Pregate per le vostre Famiglie religiose, perché diano alla società contemporanea una gioiosa testimonianza della loro donazione di Dio! Pregate per la Chiesa, pellegrina sulla terra, perché sia sempre segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano!

Pregate per tutti i popoli del mondo, perché realizzino nei loro rapporti la giustizia e la pace!
O novelli Beati e Beate, pregate per noi! Amen!

© Copyright 1981 - Libreria Editrice Vaticana

Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana

SOURCE : https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/homilies/1981/documents/hf_jp-ii_hom_19811004_nuovi-beati.html

Alain de Solminihac

(1593-1659)

BEATIFICAZIONE:

- 04 ottobre 1981

- Papa  Giovanni Paolo II

 Celebrazione

RICORRENZA:

- 31 dicembre

Canonico regolare di S. Agostino, vescovo di Cahors, che con le sue visite pastorali cercò di promuovere la correzione dei costumi del popolo e di rinnovare in ogni modo con vero zelo apostolico la Chiesa a lui affidata

"Nulla è difficile per colui che ama la sua vocazione"

Alain de Solminihac, nato da un’antica famiglia di Perigord, il cui motto era “Fede e Coraggio”, aveva da principio pensato di unirsi ai Cavalieri di Malta. Ma nel 1613, all’età di vent’anni, decide di entrare nell’Abbazia di Chancelade, nei dintorni di Perigueux, tenuta dai Canonici regolari di sant’Agostino. Dopo la sua ordinazione, si dedica agli studi di teologia e di spiritualità a Parigi.

Nel giorno dell’Epifania del 1623, riceve la benedizione abbaziale ed intraprende coraggiosamente la restaurazione materiale e spirituale della sua Abbazia. È l’epoca della applicazione del Concilio di Trento. Questo esempio ha una vasta eco nella regione e anche ben oltre. Ora, vorrei sottolineare come una simile personalità capace di spronare alla vita evangelica possa illuminare singolarmente gli Istituti religiosi dei nostri tempi. Inevitabilmente condizionati dai mutamenti socio-culturali attuali, essi devono raccogliere la sfida del venir meno, al fine di un rinnovamento, della fedeltà alla “via stretta” insegnata da Gesù stesso e sempre caratterizzata dalla scelta cosciente e permanente della povertà, della castità e dell’obbedienza consacrate.

L’esperienza di Alain di Solminihac ricorda opportunamente a tutti i religiosi il valore e la fecondità della loro radicale oblazione, sostenuta dall’osservanza della Regola dalla mortificazione, dalla vita comunitaria. 

Nel 1636, la fama dello zelo e della santità dell’Abate di Chancelade fece sì che egli fosse nominato Vescovo di Cahors da Papa Urbano VIII. Fervente ammiratore della pastorale conciliare del santo Arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, Monsignor di Solminihac prese anch’egli la decisione di conferire alla sua diocesi le caratteristiche e la vitalità tanto raccomandate dal Concilio di Trento.

I suoi ventidue anni di servizio episcopale nella regione di Quercy furono densi di una incessante serie di attività importanti ed efficaci: la convocazione di un Sinodo diocesano, la costituzione di un consiglio episcopale settimanale, la visita sistematica alle ottocento parrocchie della diocesi, che egli rivide nove volte ciascuna, la creazione di un Seminario affidato ai Lazzaristi, la moltiplicazione delle missioni parrocchiali, lo sviluppo del culto eucaristico in un periodo in cui il giansenismo cominciava a riprendersi, la promozione o la fondazione di opere caritative per gli anziani e gli orfani, per i malati e le vittime della peste.

Tre anni prima della sua morte, in occasione del Giubileo del 1656, predicò sia perché il suo popolo si convertisse, che perché fosse sensibilizzato alla missione particolare del Vescovo di Roma, garante della comunione tra le Chiese. In breve, un versetto tratto dal Salmo 69 riassume perfettamente la vita pastorale di questo Vescovo del diciassettesimo secolo: “Mi divora lo zelo per la tua casa”.

La figura ammirevole di Alain di Solminihac merita pienamente di essere messa in luce dalla Chiesa che egli ha servito tanto ardentemente. Che i Vescovi di Francia e di tutti gli altri Paesi sappiano trovare nella vita del beato Alain di Solminihac il coraggio di compiere senza paura la loro funzione di evangelizzatori nel mondo contemporaneo!

SOURCE : https://www.causesanti.va/it/santi-e-beati/alain-de-solminihac.html

Den salige Alanus av Solminihac (1593-1659)

Minnedag: 3. januar

Den salige Alanus de Solminihac (Alan; fr: Alain) ble født den 25. november 1593 på slottet Belet i S. Aquilino nær Périgueux i departementet Dordogne i Frankrike. Han var den tredje av seks barn av landadelsmannen Jean de Solminihac, som var greve av Belet og Reyssidou og trofast katolikk, og Margherite de Marquessac, som også var både adelig og dypt from. Alanus slo først inn på en militær løpebane i Malteserordenen, i håp om ikke å bare kunne utøve en riddertjeneste i tråd med sin adelige herkomst, men også kunne vise Gud den ære man skyldte ham.

Men snart merket han at hans kall gikk mot en geistlig løpebane. Dette passet bra med ønskene til hans onkel Arnold de Solminihac, som var augustinerkorherre (Canonicus Augustinianus - CanAug) og siden 1583 hadde hatt det innbringende vervet som abbed for klosteret Notre-Dame de Chancelade ved Périgueux. Han ønsket at en av hans slektninger skulle overta embetet etter ham. Han hadde allerede prøvd å få tre andre nevøer interessert, men alle avslo.

Men Alanus gikk med på onkelens forslag i tillit til at dette var i overensstemmelse med Guds vilje. Dermed ble han augustinerkorherre på grunn av nepotisme og hadde allerede utsikter til et innbringende abbedembete. Men som det var tilfelle med den hellige Karl Borromeus, viste det seg i dette tilfellet å komme noe svært positivt ut av nepotismen. Da Alanus var tyve år gammel, trådte han i 1613 inn i klosteret i Chancelade. Han dro til Cahors for å få den nødvendige akademiske utdannelsen, først i sivilrett og kirkerett. Deretter begynte han på novisiatet i det klosteret han var tiltenkt å lede.

Den 28. juli 1616 avla han sine tidsbegrensede løfter, den 17. september 1616 ble han viet til subdiakon, den 25. mars 1617 til diakon og den 22. september 1618 til prest. Fra 1618 til 1622 var han i Paris for å supplere sin mangelfulle presteutdannelse. I disse årene hørte han fremtredende professor ved Sorbonne og fikk kontakt med betydelig menn i det åndelige liv, som den hellige Vincent av Paul, Olier som grunnla Saint-Sulpice og Charles Faure, som var en av reformatorene blant augustinerkorherrene. I Paris hørte han også berømte predikanter som den hellige Frans av Sales, som holdt fasteprekenene i Paris i 1619.

I oktober 1622 vendte Alanus tilbake til Chancelade. Umiddelbart før han overtok embetet som abbed, gjennomførte han 30 dager med åndelige øvelser. Deretter gikk han løs på arbeidet i Chancelade, som var nede i en dyp krise. I selve klosteret bodde det bare en korherre, mens et par andre levde i filialer. Den 6. januar 1623 mottok han abbedvielsen. I 1623 innførte Alanus nye statutter i sitt kloster, som han selv hadde skrevet ord for ord og som i vesentlige punkter inneholdt alt som var nødvendig for en ekte reform av klosteret. Gradvis innfant det seg også flittige noviser, som abbeden selv med stor iver deltok i den åndelige formasjonen av.

Stadig gikk det fremover med klosteret, som ble et av Frankrikes mest blomstrende. Det fikk påvirkningskraft også på andre ordener, og menn som Vincent de Paul priste det høyt. Klosterets anseelse gjorde at abbeden fikk alle mulige oppgaver og verv i Kirken i Frankrike, blant annet ble han visitator av menge forskjellige klostre, ikke bare i hans egen orden. To ganger var han ønsket som biskop. I 1628 ville biskop Jean Jaubert de Barrault av Bazas trekke seg som biskop til fordel for abbed Alanus, og i 1636 ble han tilbudt bispedømmet Lavaur. Men av beskjedenhet avslo han og ville ikke la sitt reformerte kloster i stikken.

Men senere i 1636 ble han utnevnt til biskop av Cahors på foranledning av selveste kardinal Richelieu på vegne av kong Ludvig XIII (1610-43), og denne gangen kunne han ikke avslå. Han fikk imidlertid tillatelse til de første årene å fortsette som abbed av Chancelade. Han ble bispeviet den 27. september 1637 i kirken Sainte-Geneviève i Paris av erkebiskopen av Toulouse. Fra sitt reformkloster hentet han åtte spesielt ivrige korherrer og ga dem viktige oppgaver som sine medarbeidere i ledelsen av bispedømmet Cahors.

De neste 22 årene reformerte Alanus sitt bispedømme fra grunnen av i henhold til ånden fra konsilet i Trient og inspirert av Karl Borromeus. Han stimulerte presteskapet og styrket tro og moral i folket og gikk svært bevisst mot jansenismen. Han opprettet sykehus og barnehjem og innkalte prestekonferanser og folkemisjoner. Sitt store og folkerike bispedømme med 800 sogn visiterte han grundig ni ganger. Allerede den 21. april 1638 åpnet han en bispedømmesynode som skulle bli fulgt av flere reformsynoder.

Selv levde han beskjedent, ydmykt og forbilledlig på alle måter og var et forbilde på nestekjærlighet. Han regnes som en av de store reformatorene blant augustinerkorherrene og som en av de betydeligste reformbiskopene i Frankrike. Han var fullstendig fri for egeninteresse og ærgjerrighet, og også for gallikanisme, for han var trofast og lydig mot Peters etterfølger i Roma. Han opprettet i 1642 det første tridentinske presteseminaret i hele Frankrike.

Han døde den 31. desember 1659 i Mercuès nær Cahors. Han ble saligkåret den 4. oktober 1981 av pave Johannes Paul på Petersplassen i Roma. Hans minnedag er dødsdagen 31. desember, men 3. januar nevnes også.

Kilder: Attwater/Cumming, Schauber/Schindler, Holböck (1), Resch (B1), Index99, Patron Saints SQPN, Heiligenlexikon, Abbaye Saint-Benoît - Kompilasjon og oversettelse: p. Per Einar Odden - Sist oppdatert: 2004-02-03 22:56

SOURCE : https://www.katolsk.no/biografier/historisk/asolmini

Alanus von Solminihac

französischer Name: Alain de Solminihac

 Gedenktag katholisch: 31. Dezember

gebotener Gedenktag im Orden der Augustiner-Chorherren: 3. Januar

Name bedeutet: der Alane - die Alanen waren ein indogermanisches Nomadenvolk (keltisch - latein.)

Abt in Chancelade, Bischof von Cahors

* 25. November 1593 auf Schloss Belet bei Saint-Aquilin nahe St-Astier in Frankreich

† 31. Dezember 1659 auf dem Schloss in Mercuès in Frankreich

Kupferstich: Alain de Solminihac, aus: Léonard Chastentet: La Vie de Monseigneur Alain de Solminihac, Evesque Baron et Comte de Caors, et Abbé Regulier de Chancelade. Jean Bonnet, Caors 1663 

Alanus war das vierte Kind einer Familie aus altem Landadel; sein Vater war Jean de Solminihac, seine Mutter Margherite geb. de Marquessac. Alanus machte zunächst Karriere als Ritter des Malteserordens. Sein Onkel, der Kommende-Abt im Kloster Notre Dame in Chancelade nahe Périgueux, sah ihn als seinen Nachfolger vor. 1614 trat er aber als Novize den Augustiner-Chorherren des Klosters bei, 1616 legte er die Gelübde ab, 1618 wurde er zum Priester geweiht. Nach vier Jahren Studien in Paris, wo er Franz von Sales kennenlernte und Freundschaft schloss mit Vinzenz von Paul, wurde er 1623 Abt in Chancelade. Unter seiner Führung wurde das zuvor weithin in Trümmer liegende Kloster, in dem nur noch vier Ordensmänner lebten, ein bedeutsames geistliches und wirtschaftliches Zentrum. Innerhalb von elf Jahren konnte Alanus 54 Novizen die Profess abnehmen; ein von ihm entworfenes Regelwerk machte Schule auch bei anderen Augustinergemeinschaften und erneuerte den ganzen Orden.

Als Alanus 1636 erfuhr, dass er als Bischof von Lavaur vorgeschlagen sei, ging er nach Paris an den Hof von König Ludwig XIII. und bat, diese Ehre zu verhindern. Der ließ ihn daraufhin 1636 zum Bischof von Cahors berufen, zu dieser Zeit eines der größten Bistümer seines Reiches. Ein Jahr lang bereitete Alanus sich auf diese Aufgabe vor, studierte Schriften - vor allem die von Karl Borromäus - und Konzilsakten - vor allem die des Konzils von Trient. 1637 wurde er dann in der Pariser Kirche Saint-Étienne-du-Mont zum Bischof geweiht. Er reformierte seine Diözese von Grund auf, visitierte die zahlreichen ländlichen Pfarreien und bemühte sich, die kirchliche Ordnung wieder herzustellen. In Cahors gründete er ein Priesterseminar und drängte seine Priester, in verständlicher, einfacher Sprache zu predigen. Er ließ einen Katechismus in okzitanischer Sprache drucken, gründete Waisenhäuser für Jungen und Mädchen sowie Hospitäler für unheilbar Kranke. Sein religiöser Eifer wandte sich vor allem gegen die Protestanten und Jansenisten.

Alanus starb, von 22 Jahren unermüdlichem Einsatz geschwächt, im Schloss von Mercuès, das damals im Besitz des Bistums Cahors war.

Kanonisation: Alains' Seligsprechung erfolgte am 4. Oktober 1981 durch Papst Johannes Paul II.

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Autor: Joachim Schäfer - zuletzt aktualisiert am 27.07.2018

Quellen:

• Vera Schauber, Hanns Michael Schindler: Heilige und Patrone im Jahreslauf. Pattloch, München, 2001

• http://www.catholic-forum.com/saints/sainta3q.htm nicht mehr erreichbar

• C. S., Brief vom 27. August 2005

• http://www.kath-info.de/solminihac.html

• https://fr.wikipedia.org/wiki/Alain_de_Solminihac - abgerufen am 17.07.2023

• Lexikon für Theologie und Kirche, begr. von Michael Buchberger. Hrsg. von Walter Kasper, 3., völlig neu bearb. Aufl., Bd. 1. Herder, Freiburg im Breisgau 1993

• https://fr.wikipedia.org/wiki/Abbaye_Notre-Dame_de_Chancelade - abgerufen am 17.07.2023

• Ferdinand Holböck: Die neuen Heiligen der katholischen Kirche, Band 1. Christiana, Stein am Rhein 1991

korrekt zitieren: Joachim Schäfer: Artikel Alanus von Solminihac, aus dem Ökumenischen Heiligenlexikon - https://www.heiligenlexikon.de/BiographienA/Alanus_de_Solminihac.htm, abgerufen am 23. 2. 2024

Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet das Ökumenische Heiligenlexikon in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://d-nb.info/1175439177 und http://d-nb.info/969828497 abrufbar.

SOURCE : https://www.heiligenlexikon.de/BiographienA/Alanus_de_Solminihac.htm

Voir aussi : 

Miguel Perez Flores C.M. « Old Saint and New Beatus: Saint Vincent de Paul and Blessed Alain de Solminihac », Vincentian Heritage Journal, vol6/1, Spring 1985 : https://via.library.depaul.edu/cgi/viewcontent.cgi?referer=&httpsredir=1&article=1369&context=vhj

Patrick Petot, « Alain de Solminihac : la réforme de Chancelade (1623-1630) », dans Bulletin de la Société historique et archéologique du Périgord, 2009, tome 136, 1relivraison, p. 65-100 : https://shap.fr/BSHAP/BSHAP_2009-1.pdf

Patrick Petot, « Alain de Soiminihac : le renouveau canonial autour de Chancelade (1630-1636) », dans Bulletin de la Société historique et archéologique du Périgord, 2009, tome 136, 3e livraison, p. 313-362 : https://shap.fr/BSHAP/BSHAP_2009-3.pdf